Scrittori, Covid-19 e l’essere altrove, intervista a Roberto Agostini

0

<< […] Il mondo è impreparato alla nuova pandemia che potrebbe uccidere 80 milioni di persone in 36 ore! […] >>

L’estratto che state leggendo viene dal racconto “Lo Sceicco Bianco film burn” pubblicato sulla rivista 8 e ½ dell’Istituto LUCE, scritto nel settembre del 2019 e uscito nel dicembre di quell’anno. La parola “pandemia” oggi è diventata un’intercalare, qualsiasi prodotto narrativo si trova per forza di cose a citarla, ma questo caso specifico è particolare perché scritto in tempi non sospetti. Avevo già intenzione di intervistare l’autore, Roberto Agostini, per parlare del suo lavoro poliedrico di sceneggiatore, autore e regista ed inaugurare questa nuova rubrica fatta di personaggi e lavoratori del settore artistico del Paese, avevamo già in mente di trattare la situazione Covid-19 da questo punto di vista, e questa sua previsione non ha fatto altro che aumentare l’interesse.

Ciao Roberto, presentati brevemente per chi non ti conosce.

Il mio nome è Roberto Agostini, sono scrittore, sceneggiatore e regista, ex-attore, il mio ultimo spettacolo risale 1999, ciò fa di me un attore del ‘900 e uno scrittore del terzo millennio. (ironizzo, eh?!) Questo per dire che mi piace come artista fare i conti con le trasformazioni. Sarà forse perché il primo libro che mi ha formato è stato Pinocchio e il secondo la Metamorfosi di Kafka? Inoltre non amo particolarmente apparire, mi piace rimanere nell’ombra, lo so è piuttosto insolito per un artista che di suo ha necessariamente una parte narcisistica, ma amo lavorare dietro le quinte, è il mio luogo ideale. Certo uso i social, ma non eccedo mai. Un artista dovrebbe secondo me parlare sempre attraverso le proprie opere. Come Fellini, che non amava parlare troppo del suo lavoro, quando spesso gli chiedevano come avesse creato un film o un disegno, lui rispondeva che non sapeva dirlo perché sarebbe come chiedere a un sonnambulo dove sta andando e perché lo fa. Lo svegli e basta. Sposo pienamente il suo pensiero.

Il romanzo d’esordio di Roberto Agostini, il cuoco di Burns Night, fu recensito con queste parole da Dacia Maraini: “È uno strano romanzo, bello, ondoso e liquido nella prima parte e poi improvvisamente misteriosofico, violento, poliziesco e pieno di azione”. Un endorsment non da poco per un esordio.

Nel 2013 hai pubblicato Il cuoco di Burns Night con Atmospherelibri, quanto è diverso un romanzo da una sceneggiatura? Quale dei due formati ti dà più libertà?

Quando ho in mente una storia che nasce da una suggestione o una musica, e spesso mi capita nel dormiveglia, valuto se è più adatta al cinema o a un romanzo. Nel caso del Cuoco di Burns Night, l’idea nasce da un paio di racconti brevi che messi uno dietro l’altro sembravano un perfetto e convincente incipit letterario. L’amore per il poeta Scozzese Robert Burn ha fatto il resto. Notare che anche il cuoco è una storia doppelganger, come le storie che amavo da ragazzo, inizio a pensare che non sia un caso la questione del doppio e della trasformazione. Ma per rispondere alla tua domanda la differenza è puramente tecnica; per come la vedo io nel cinema la scrittura è per immagini, nella narrativa le immagini le devi evocare attraverso la parola scritta. In entrambi i casi la difficoltà è nei dosaggi e nell’alchimia delle cose, perciò la libertà di esprimere il tuo immaginario è la stessa, cambiano solo le modalità. L’unica similitudine che vedo è legata al concetto di “thanatos”, ovvero quando la tua sceneggiatura e il manoscritto diventano rispettivamente un film e un romanzo ecco che, da un certo punto di vista, le due opere per me sono morte, finite, concluse. Non puoi metterci più le mani sopra per modificarle ecco. È un paradosso ma è così. Certo la nuova vita è la pubblicazione stessa e l’uscita del film ma solo in parte, tutto quello che si trasformava di giorno in giorno fra le mani dell’autore, situazioni, personaggi, peripezie, avvicendamenti non c’è più. Per il teatro è diverso, c’è un copione che può essere perfezionato all’occorrenza e l’attore che, da medium tra il pubblico e l’autore, rigenera attraverso il suo corpo e la sua voce il testo di giorno in giorno, replica dopo replica. Anzi, lo spettacolo nasce dopo il debutto direi, e strano dirlo in questo momento in cui è proprio il teatro ad essere agonizzante.

Nel racconto sullo sceicco bianco, il personaggio interpretato da Sordi si ritrova nel presente e tra le tante notizie legge quella sulla pandemia, intuizione fortuita o cosa?

Che dire, non so, evidentemente gli artisti sviluppano nell’ essere altrove una specie di radar che ti rende profetico. A me questa cosa capita spesso, (in questo caso ne avrei fatto volentieri a meno!).

Restando sul tema, il più attuale, come impatta il lavoro la situazione Covid?

Il Covid-19 è una vera tragedia mondiale, in senso assoluto, e purtroppo provoca ancora migliaia di morti, ovviamente il colpo mortale dal punto di vista lavorativo lo hanno subito in buona parte gli artisti e le maestranze, e tutti i lavoratori del settore spettacolo intendo, che già da tempo dovevano fare i conti con un disinteresse inspiegabile da parte delle istituzioni. Stanno cercando tutti delle soluzioni alternative: ho visto proposte di teatri stabili che stanno tentando di distribuire spettacoli teatrali on line, anche gratuiti, ma ho molta difficoltà ad immaginare un futuro della sesta arte in digitale. Il teatro via web non può esistere perché è nell’atto la negazione del teatro stesso che richiede la presenza fisica dell’attore e dello spettatore affinché si compia la magia. Ossia la percezione dello scambio energetico che si crea tra pubblico e attori verrebbe a mancare, verrebbe meno quel senso di comunione che avvicina il teatro al rito nella sua forma primigenia e il poter entrare nelle nostre più recondite profondità (questo avviene nelle tragedie come nelle commedie se ben fatte). Già il teatro negli ultimi anni mi sembrava un fenomeno fuori dalle coscienze adesso poi…chissà forse il futuro dipende proprio dal fatto che il teatro è spettacolo dal vivo e perde tutta la sua spettacolarità in video anche nelle migliori delle regie televisive forse qualcuno si renderà conto che per salvarlo va fortemente tutelato e protetto.

Quali sono gli organi a disposizione di un artista per far fronte all’emergenza dei teatri chiusi? (sindacati, comitati, organizzazioni et simili)

Devo dire che sono l’ultima delle persone alle quali fare questa domanda. Da questo punto di vista sono sempre stato un artista puro. L’attore è sempre stato qualcuno fuori dagli schemi sociali precostituiti e mi piace vedere così anche lo scrittore. La maggior parte dei grandi poeti, musicisti, scrittori, raramente ha ricevuto il supporto delle istituzioni, al massimo qualche volta godevano del favore di qualche mecenate o impresario, pensate a Mozart, Goldoni, Rostand… ed è questo che li ha resi grandi, a volte anche dopo la loro morte purtroppo. Nei momenti di difficoltà ho sempre raccolto le forze, rimboccato le maniche e ricominciato, trovando fortunatamente il sostegno delle persone che mi stimavano e condividevano la mia stessa visione. Certo mi conforta vedere adesso che sono nate nuove realtà come Unita che stanno portando avanti in modo pragmatico i diritti degli artisti, spero solo che tengano conto veramente dei diritti di tutti.

Pensi che quest’anno particolare avrà ripercussioni sul futuro del settore? Se sì, quali?

Per quanto mi riguarda sto lavorando su due nuove sceneggiature e una Graphic Novel, e mi ritengo fortunato perché quello che faccio posso portarlo tranquillamente avanti durante questo secondo lockdown, certo purtroppo il teatro è completamente fermo, e non ho idea al momento di come possa riprendere.

Tornando a temi più leggeri, qual è stata l’esperienza lavorativa più importante per te?

Aver lavorato con Liliana Cavani mi ha aperto nuovi orizzonti, è una donna eccezionale, dotata di una grande ironia e intelligenza cosa che amo molto nelle donne, ho avuto il privilegio di collaborare con lei per diverso tempo su alcuni progetti tra i quali vorrei ricordare quello per Micky Rourke [progetto citato nell’intervista a Liliana Cavani sul Mattino del 5 gennaio 2010, n.d.r.]. Con Liliana ho imparato a capire che lo script è come una creatura che prende vita propria, inizia a parlare, a muoversi nello spazio e bisogna saperla ascoltare e assecondarla in qualche modo. È una cosa affascinante.

Hai un aneddoto interessante a riguardo? Quello che ricordi con più piacere

Liliana una volta mi ha detto che secondo lei esistono due categorie di scrittori, i pennivendoli e gli autori: “Roberto io ti ho scelto perché non sei un pennivendolo, sei un artista, rimani sempre così, te stesso insomma”. Tengo sempre a mente questa sua frase quando imposto un nuovo lavoro.

Negli ultimi anni hai firmato diversi spettacoli teatrali, tra cui La Rivale e Il Caso Mattei – schegge di verità –, come coniughi i diversi campi e interessi lavorativi?

“Il caso Mattei schegge di verità” è stata un’avventura potente, come regista e adattatore, vissuta assieme a un David di Donatello, Giorgio Colangeli, nel ruolo del protagonista della storia, il magistrato Vincenzo Calia; una pièce che ha condotto il pubblico nei meandri dei misteri più oscuri dell’Italia del dopoguerra. Lo spettacolo è nato come un atto necessario, ritengo che il teatro sia anche questo, denuncia e impegno civile, come disse Pier Paolo Pasolini: “vi sono momenti nella vita in cui non si può essere inconsapevoli; bisogna essere consapevoli e non esserlo equivale a essere colpevoli

Per salutarci: consiglio libro, film, album

Come album consiglio di riascoltare “Led Zeppelin II” ( oltretutto i Led li ho visti dal vivo a Londra nel 1979 l’11 Agosto a Knebworth Park ed esigo assoluto rispetto per questo!).Mentre il film da vedere assolutamente è “Favolacce” dei fratelli D’ Innocenzo infine il libro, oltre a “il Cuoco di Burns Night di Roberto Agostini”, se non l’avete ancora letto, “A proposito di niente” di Woody Allen.