Ho conosciuto Sara Meliti in modo inusuale, perché ha insultato delle mie foto definendole volgari e a mani alzate non ho potuto che arrendermi: probabilmente aveva ragione. Sai quando la spari grossa e tutti stanno zitti e il bambino ad alta voce dice quello che tutti pensano? Ecco, quella sensazione, sincera schietta diretta a volte violenta, con le parole, ma per lo più delicata come una poesia piumata. Ecco, Sara è questo e così anche le sue poesie, così anche parte della sua vita, delicata violenta schietta e piena di poesia, come il nome di sua figlia, Aria: non penso di aver trovato nome più poetico per una bambina che è aria, ossigeno e sole per chi le sta intorno. Ogni tanto questa sua figlia, mentre lei lavora alle sue fotografie, mi dedica dei disegni, dove ci sono io in varie versioni, con diverse tecniche e ci scrive sopra Aria per Gio. Non penso che possano essere intitolati nel miglior modo quei disegni, sono letteralmente aria per me, come le fotografie di Sara, che aprono mondi a volti chiusi da barriere chiamati teatri e lei con il suo obiettivo fa uscire questi mondi dal teatro. Ho visto grazie a lei e ai suoi scatti spettacoli che ora ho curiosità di mirare e rimirare a cui vorrei assistere, sentire e assaporare come lei ha fatto, cogliendo l’essenza della carne danzate, della composizione del regista di teatro. Dove ha preso quella luce ben equilibrata l’ha trasportata per noi su quei corpi: la sua fotografia è pulita, limpida, non cerca le imperfezioni per poterle esaltare, cerca la bellezza, quella sincera reale e ne trasmette il 200 per cento. Riesce a rendere giustizia a quelle danze, a quei monologhi, a quei salti teatrali che a tanti occhi possono passare anche inosservati; il suo mondo teatrale è uno dei mondi. Sara è una fotografa impegnata anche nel sociale, nel sociale alimentare se così lo posso definire, non cerco i termini giusti, cerco quei termini che possano rendere l’idea: per sociale intendo sensibilizzare le masse a non continuare a sostenere gli allevamenti intensivi. Non è giusto che animali muoiano per riempire un nostro piatto e tanto meno in modo industriale, come Sara ci fa vedere attraverso i suoi scatti. Le collaborazioni con Silvia Del Grosso tendono a voler lasciare un messaggio chiaro, semplicemente: basta allevamenti intensivi e alla vita di animali indifesi che non si possono ribellare. Sara parte per un’isola e lì fa nascere, insieme a Silvia, il progetto che nasce dalle ceneri di una vita vulcanica che crea e distrugge continuamente. Il vulcano è il simbolo della vita, per tanti motivi la terra nera che respira, l’aria polverosa che sbuffa dal terreno come a reclamare un sospiro che si deve far sentire, per dirti io sono qua. E così nascono questi scatti che incarnano vita che definiscono una posizione fetale simbolica, come a ricordare che nulla è più prezioso della vita, anche se questa non riesce a camminare.
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