Filippo La porta, quando la letteratura difende la patria

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Come si può parlare di radici in un mondo che ci vuole sradicati? Filippo La Porta nel suo pamphlet Alla mia patria ovunque essa sia (GOG 2020, 100 pagine, 11 euro) ridefinisce il concetto di patria e lo fa grazie alla sua straordinaria capacità di critico letterario. Con le parole di Simone Weil, Cesare Pavese, Carlo Levi, Oriana Fallaci e Pier Paolo Pasolini scopre un nuovo modo di parlare di radici, senza quella nostalgia che sa di passato e di strumentalizzazione. Tutti noi abbiamo bisogno di tradizioni, ma quelle che identifichiamo come nostre appartengono a noi solo perché ce le siamo scelte e non per eredità. Il popolo italiano ha un “disperato bisogno di credere” in qualcosa o qualcuno e alcune volte la narrazione che ci siamo creati è riuscita anche ad aiutarci. Come nel caso della moda italiana, che supera quella francese grazie all’effetto Rinascimento e alla sua narrazione.

Alla mia patria ovunque essa sia

La Patria per Filippo La Porta non è più un luogo, ma uno stato d’animo che si sceglie per sé, un paesaggio che si riconosce come familiare senza per forza esserci nati. Per l’autore essere patrioti oggi significa proteggere la nostra arte, prendersi cura della nostra lingua, della nostra terra. Ogni giorno quello che facciamo contribuisce a tracciare un disegno, una “scia sul mare” ed è così che “scegliamo la patria che più ci somiglia”.