Spesso – capita ogni giorno – la passione per l’arte e la ricerca della Bellezza conducono l’uomo a smarrirsi nelle città, vagando per le metropoli contemporanee sulla scia degli indimenticabili flâneur, i viandanti della modernità eternati da quella letteratura che al dandysmo e alla malinconia ha eretto templi imperituri.
Talvolta, specularmente, è invece la città ad addentrarsi coraggiosamente nei cuori degli uomini, a percorrerne le membra, a saggiarne le fibra più intime e i pensieri più reconditi.
Lo (di)mostra lo scultore napoletano Marcello Silvestre con la sua ultima esposizione, La città, l’uomo, l’anima e il tempo (Galleria Biffi Arte, Piacenza; 25 gennaio–1 marzo 2020): un inno plastico alla radicale compenetrazione fra uomo e città. Antropologia e architettura si fondono nelle sculture di Silvestre – che, non è un caso, è di formazione architetto –, in particolare nella serie de Le città invisibili, nella quale corpi umani si congiungono simbioticamente con edifici ed elementi urbani. Che microcosmo e macrocosmo – individuo e universo – siano strettamente connessi e interdipendenti, la tradizione filosofica platonica e la sapienza magico-ermetica non hanno mai smesso di ricordarcelo. Perché non pensare, dunque, che nell’età della tecnica e della “planetarizzazione” sia lo stesso spazio urbano a farsi cornice di senso e polo di dialogo per l’uomo postmoderno? Che si tratti di un destino ineluttabile o di una radiosa opportunità, le sculture di Silvestre indagano anche questo rapporto, aprendo squarci sull’avvenire pur partendo da un richiamo al passato – l’evidente omaggio al capolavoro di Italo Calvino. È lo scrittore italiano – imprescindibile riferimento letterario e immaginifico – a ispirarlo nell’ideazione delle sue città immaginarie, invisibili solo perché celate allo sguardo profano e distratto, eppure sempre accessibili per chi intrattiene rapporti con il mondo fantastico riposto nel cuore profondo della realtà.
La mostra, oltre alla serie de Le città invisibili, include il progetto L’uomo l’anima e il tempo, dedicato alla relazione emotiva ed esistenziale tra l’uomo e la sua anima, e Subject 1, la prima di un nuovo filone di creazioni che riprende il non finito di Michelangelo. Questa esprime, secondo le stesse parole di Silvestre, «un trait d’union tra la figura che esce dal blocco di triangoli che ne è alla base e lo spirito umano che cerca di liberarsi della carne per anelare ad una più alta spiritualità e alla ricerca della perfezione».
Un tema filosofico formidabile, che affonda le sue radici alle origini dell’umano, svolto tuttavia con strumenti modernissimi: Subject 1 e tutte le altre opere in mostra, pur nella molteplicità di materiali impiegati (bronzi, resine, foglia d’oro e polvere di ruggine), sono realizzate infatti a partire da una elaborazione digitale tramite un software di modellazione,e sono successivamente prodotte grazie a una stampante 3d. Segue, infine, la finitura a mano. Serialità tecnica e originalità simbolica sfumano l’una nell’altra, in una operazione estetica volta a ribadire, secondo l’adagio di Paul Klee, che «l’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile».