Raffaellino del Colle, il seguace del “divin pittore”

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“Da Raffaello. Raffaellino del Colle
Raffaellino del Colle, Sacra Famiglia con San Giovanni Battista, olio su tavola, cm. 202x170, 1560, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Chi è Raffaellino del Colle? Non molti lo sanno. Perché mostre e libri destinati al grande pubblico privilegiano sempre gli stessi nomi: Picasso, Caravaggio, De Chirico, Giulio Romano, Vermeer, Velázquez e la fila è lunga. Artisti che “tirano”, come si dice, ma che poco aggiungono alla conoscenza della storia dell’arte, che è piena di altri nomi e di opere da scoprire. È il caso di Raffaellino del Colle, nato nel 1496 circa e morto nel 1566 a Sansepolcro, cittadina toscana in provincia di Arezzo, al confine con Umbria e Marche. Ma attivo in tutto il resto della Penisola, dalle Marche alla Toscana, dal Lazio alla Campania.

A toglierlo dalla penombra è una mostra, aperta sino al 13 ottobre a Palazzo Ducale di Urbino, “Da Raffaello. Raffaellino del Colle”, con relativo catalogo. Promossa dal Comune di Urbino, con il contributo della Regione Marche, e del Comitato Nazionale per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Raffaello, avvenuta il 6 aprile 1520, è curata da Vittorio Sgarbi.

Seguace di Raffaello, come dice il suo nome, cui viene aggiunto quello dell’ipotetico luogo di nascita “Colle”, frazione di Sansepolcro, Raffaellino fu uno dei più geniali interpreti del “divin pittore”, che seguì a Roma, frequentando la sua bottega nel 1517-1518, dopo una prima formazione presso il pittore Giovanni di Pietro detto lo Spagna. Fu pittore, frescante, autore di apparati.

La sua fortuna, o meglio geniale intuizione, fu quella di lavorare sempre accanto ad artisti di spicco e molto bravi, da Raffaello a Giulio Romano, da Vasari a Bronzino, sviluppando un suo linguaggio colto, originale, che, con il tempo, assume tratti manieristici. Un gruppo di sue opere, giunte da chiese e musei di Roma, Perugia, Sansepolcro, Cagli, Urbino e altre città, illustra il suo percorso, affascinante, ma non troppo omogeneo.

Ispirati a Raffaello sono dipinti d’altare come la Madonna del velo con gli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele, del 1531 circa, del Museo Diocesano Leonardi di Urbania, un’opera complessa ed elegante, che riprende il motivo della “Madonna del velo” del maestro, ma lo elabora con dettagli accurati e freschi, come le acconciature degli arcangeli, le pieghe dei tessuti, le nature morte sul pavimento.

Altri dipinti, indicano invece l’allontanamento da Raffaello, del tutto logico a distanza di anni dalla sua morte e sotto l’influenza di nuove esperienze. La Purificazione della Vergine, ad esempio, del Museo Civico di Sansepolcro datata con certezza nel 1535-1536, appare già manieristica per le citazioni e assemblaggi di diversi motivi raffaelleschi, vicina ad influenze toscane di Rosso, Bronzino, Vasari.

Così la grande tavola con la Madonna col Bambino, santi e donatore firmata “Rapha. B. P.” cioè “Rapha[ele] B[iturgensi] P[Pinxit]” e datata 1543, della chiesa di Santa Maria dei Servi in Sant’Angelo in Vado, pur mantenendo ricordi da Raffaello, sembra guardare a Parmigianino, a emiliani e toscani eccentrici del ‘500.

L’Immacolata Concezione di Mercatello sul Metauro del 1555 circa, destinata ad una confraternita, indica scambi con Bronzino, pittore con cui Raffaellino aveva lavorato a Firenze, alla fine degli anni Quaranta, ai cartoni per gli arazzi con Storie di Giuseppe destinati al Salone del Dugento in Palazzo Vecchio.

La suggestiva e bella pala d’altare, con Sacra Famiglia e San Giovanni Battista, attribuita al pittore da fonti antiche ed eseguita nel 1560 per la chiesa di Sant’Agostino di Perugia, indica le ultime svolte aggiornate sulla pittura centro-italiana. Il suo fascino? Il timbro intenso, l’espressività, il ritmo serrato.