Fabio Ferrone Viola presenta la nuova opera intitolata Altare della Pace, un insieme di candele ed elmetti militari.
Perché questo titolo e perché installarla proprio qui di fronte alla Galleria Nazionale di Arte Moderna?
E’ tutto collegato. Ho scelto la Scalea intitolata a Bruno Zevi perché proprio qui nel 1968 avvennero gli scontri studenteschi. Il simbolo è quello della pace realizzato con gli elmetti militari originali della Seconda Guerra Mondiale e il messaggio che io voglio portare è un messaggio di pace, in contrasto con i risvolti drammatici che ebbero le manifestazioni di protesta che si svolsero in quest’area, tra i Monti Parioli e Villa Borghese.
Uno sguardo al passato quindi
Oggi siamo nel 2019 e gli scontri studenteschi sono un triste ricordo. Oggi dobbiamo fronteggiare altri tipi di problemi, pertanto ritengo che un messaggio di pace sia sempre attuale.
La caratteristica delle opere firmate FFV è il materiale di recupero. Da dove nasce questa intuizione?
Sicuramente dalla sofferenza del nostro pianeta, oceani compresi, che ormai è letteralmente invaso dalla plastica e dall’immondizia. Quandonon ci sarà più il packaging usa e getta (perché spero che l’uomo prima o poi si evolver) resteranno le mie opere, realizzate con parti di packaging dei prodotti di largo consumo, bottiglie, tappi e molto altro. E’ una sofferenza personale vedere le cose buttate via ed è per questo che ho iniziato, durante i miei viaggi di lavoro a New York e a Londra, a raccogliere gli scarti e le confezioni delle bibite che consumavo io stesso. Dopo aver accumulato una discreta quantità di lattine ho iniziato a realizzare le prime bandiere americane sfruttando il colore del materiale.
Raccogliere tutta questa spazzatura non era un po’ rischioso, visto che chissà chi l’aveva utilizzata?
La moltitudine è un tema in più attraverso il quale caratterizzare le mie opere. Utilizzare scarti di persone diverse, che hanno sfruttato quel dato packaging, è un po’ come riunirle almeno idealmente: ecco perché uso una moltitudine di tappi, di lattine, di audiocassette.
Il tuo nome è conosciuto nel settore della moda: come mai hai lasciato il settore fashion per dedicarti all’arte? E chi è l’artista che ti ha ispirato?
Amo la pop art americana, le mie icone sono Rauschenberg, Wharol, Jasper Jones. Anche Jackson Pollock, attraverso la tecnica del “dripping”, mi ha segnato. Ho lasciato il mondo della moda quando mi sono accorto che era in antitesi con ciò che ho iniziato a fare come artista. La moda è usa e getta, gravita intorno alla velocità del consumo (soprattutto la moda degli anni 80 e 90), non appena finivi di creare una collezione dovevi subito inventarne un’altra. Questo stress di continuare a creare per poi disperdere le energie creative mi faceva soffrire. Tutto questo non mi interessa e mi rappresenta solo un mondo in deperimento.