S’intitola “Il Maleducato” il singolo con cui Antonio Maggio, il cantautore salentino che nel 2013 ha trionfato tra i Giovani del Festival di Sanremo con il brano “Mi servirebbe sapere”, è tornato nelle radio. “Questa canzone è stata una delle prime che ho scritto in questo mio ultimo ciclo creativo” spiega Antonio. “L’ho scritta due anni e mezzo fa, ma fin dal primo momento ho capito che sarebbe stata una delle più importanti; non a caso l’ho scelta come primo singolo, perché ha tutte le caratteristiche che deve avere una canzone che sancisce un ritorno: cambiamento, crescita, qualcosa da raccontare di diverso rispetto a quanto raccontato prima. La festa di cui canto non è altro che una metafora del futuro, alla quale la mia generazione non è stata invitata. Subentra, allora, lo status del “Maleducato”, come colui che ha il dovere di imbucarsi a questa festa con un unico scopo: prendersi il proprio futuro con le proprie mani”.
Dici che la tua generazione deve combattere per conquistarsi il proprio spazio. Alla politica guardi con sfiducia?
É proprio questo il punto: guardare alla politica con sfiducia equivale ad accettare di non essere stati invitati alla festa. Viviamo un contesto storico in cui dobbiamo agire in prima persona, è un dovere che abbiamo nei confronti di noi stessi ma anche di chi ci seguirà.
Questo singolo è arrivato due anni dopo “Amore Pop”. Cosa è successo in questi due anni nella vita e nel modo di far musica di Antonio?
É stato un periodo di cambiamenti importanti, nella vita e nella musica. Ho scritto tantissimo, probabilmente ho canzoni a sufficienza per poter pubblicare tre dischi contemporaneamente. Ma oltre alla scrittura, sia per me sia come autore per altri miei colleghi, ho suonato anche tanto: per tutto il 2018 sono stato in giro assieme al mio amico Pierdavide Carone con il “Diamoci del ToUr”, un’esperienza bella e importante, che ci ha fatto riscoprire quanto la musica sia confronto. Detto questo, il mio modo di fare musica è certamente cresciuto in consapevolezza: so pienamente cosa voglio e col tempo sto imparando anche a scoprire cosa il pubblico si aspetta da me di volta in volta.
Il grande pubblico ti ha conosciuto ad “X-Factor”, in gruppo. Come ripensi a quell’esperienza?
Credo di essere l’unico caso in Italia ad aver vinto un talent con un’entità artistica e ad aver avuto poi la possibilità di riaffermarmi con tutt’altra identità. Per me “X-Factor” è stato un gioco insieme a tre altri miei amici, gli Aram: lì dentro facevamo fondamentalmente delle cover, io ero un ragazzino appena ventenne alla prima esperienza importante, tra la vittoria e tutto ciò che poi ne è seguito. Ma se devo indicare uno start della mia carriera, lo individuo proprio nel momento dello scioglimento degli Aram Quartet, quando ho capito realmente ciò che ero: un cantautore.
Nel 2013 il trionfo a Sanremo. Il successo ha rischiato di destabilizzarti?
Artisticamente, per il pubblico, sono nato lì. É stata una favola, con un lieto fine bellissimo e inaspettato. Il successo non mi ha destabilizzato per un solo motivo: sono arrivato pronto all’appuntamento. Ricordo chiaramente di aver vissuto quella settimana nella piena consapevolezza di ciò che stavo facendo e con una serenità che disarmava tutti coloro che mi erano accanto. Me la sono proprio goduta.
Nella tua carriera, hai avuto l’onore di esibirti nella casa di Lucio Dalla. Com’è andata?
Quella è stata una delle esperienze più incredibili e inaspettate che mi siano mai capitate. Io sono da sempre stato un grande fan di Lucio Dalla, lo considero un mito della nostra arte, al punto da portare in giro per un periodo anche uno spettacolo a lui dedicato dal titolo “MaggioCantaDalla in Jazz”. Ti lascio quindi immaginare la mia incredulità quando sono stato invitato a casa sua a Bologna dalla Fondazione che porta il suo nome, il giorno del suo compleanno: il 4 marzo 2017. Ti dico solo che ho avuto l’onore di suonare il suo pianoforte, dove saranno nati chissà quanti capolavori. Ho i brividi ancora adesso che te lo racconto…
I tuoi maestri musicali quali sono stati?
I miei maestri sono stati sicuramente i grandi cantautori italiani: da Dalla a Rino Gaetano, passando per De Gregori e De André.
La tua famiglia ha appoggiato il tuo percorso?
Sì, da sempre. I miei genitori e mio fratello sono i miei primi fans. Credo sia importante avere l’appoggio della propria famiglia, ti permette di fare scelte libere. E poi se mio padre non mi avesse iscritto al primo festivalino al mio paese, all’età di 8 anni, probabilmente non staremmo neanche qui a parlarne adesso…quindi hanno anche dei meriti fondamentali!
Quali sono i valori in cui credi fortemente?
Credo nella lealtà verso se stessi, più difficile da mettere a fuoco rispetto a quella nei confronti degli altri. Poi credo nella verità e nella bellezza, requisiti di ricerca fondamentali nella vita così come nella musica. E infine credo nella parola, un’arma di cui ci è stato fatto dono per accarezzare chi ci ascolta.
Come ti vedi tra vent’anni?
Mi vedo esattamente così, a presentare ancora nuove canzoni.