Lucania, succhiare la vita con tutti i suoi orrori e bellezze

0
Lucania, succhiare la vita con tutti i suoi orrori e bellezze

Lucania è la terra dei lupi e davvero gli uomini e le donne del film di Gigi Roccati sono un po’ lupi: selvaggi, silenziosi, duri. Si mescolano al paesaggio con i loro vestiti, conoscono i sentieri della terra, parlano una lingua chiusa e amara.

Tranne Lucia (Angela Fontana), la protagonista. Lei non parla, da quando ha perso la madre che amava moltissimo: eppure si fa capire molto più degli altri, con gli occhi e il corpo che muove come un giunco. Condivide le giornate silenziose con il vecchio padre contadino Rocco, (Joe Capalbo), sulle montagne della Basilicata. È una vita talmente antica, la loro, che pare spostata indietro di un secolo, invece siamo ai giorni nostri e il progresso si fa sentire insinuandosi come un veleno tra le radici. È proprio per una storia di veleni, potere, denaro, che Rocco trascinerà Lucia in una fuga burrascosa tra la natura della Lucania.

Rocco è fatto di terra e fatica, fatica e terra, la schiena rotta dal lavoro e gli occhi chiari stupiti. La sua fuga diventa grande, grandissima. Scappa da chi lo insegue; dalla morte e desolazione che sente arrivare; scappa dal tempo che non riesce a capire più e da se stesso. Lucia è il suo doppio, uno spirito del luogo dalla bellezza terrestre e fiduciosa. Lucia corre incontro: alla vita e a se stessa. Rocco è tutto severità e durezza, pure con chi ama. Lucia con la terra si fonde, la sente, la tocca, la respira.

Lucania è un film che prova un amore profondo per le radici – piante, persone, animali, musiche, tradizioni, magie. Mette in guardia su quanto sia pericoloso ignorare le regole della natura. Poiché niente si crea e niente si distrugge, il male compiuto rimane sospeso come una nuvola tossica, prima di ri-piovere giù. E poiché tutto si deve muovere, guai anche a chi non riesce a ballare al ritmo delle foglie che si rigenerano in continuazione.

Tragedia e speranza si mescolano nel film di Roccati come nelle musiche popolari del maestro Antonio Infantino, che fanno da sfondo alla fotografia, curata da Salvatore Landi, dei boschi e delle valli che corrono a perdita d’occhio.

E, come in una tarantella, non c’è spazio per il compianto, ma solo per l’energia e il piacere della vita, da respirare con tutti i suoi misteri, i suoi orrori e le bellezze.