Di suo fratello Pino dice che gli manca tutto. E’ a lui che Nello Daniele ha dedicato il concerto dello scorso 12 maggio al Teatro Magnani di Fidenza. Il live ha aperto il nuovo tour del cantante napoletano, che proseguirà con diverse date lungo la penisola: il 28 maggio a Cosenza, il 30 giugno a Frascati, il 2 agosto ad Ortona, il 6 agosto all’Isola d’Elba, e ancora il 13 agosto Eboli ed il 16 agosto a Capitello.
Intanto è da poco nelle radio Lontano da te, il nuovo singolo dell’artista partenopeo, accompagnato da un video con la regia di Alessandro Freschi. “Mi sono divertito davvero molto a suonarlo, specialmente nella fase di arrangiamento delle chitarre” racconta Daniele. “Per quanto riguarda il testo, mi ispiro a un amore universale, fraterno ma a volte anche focoso. Una testimonianza di questo è proprio il mio video, nel quale racconto il percorso della vita che ancora mi aspetto e spero di fare. Vado incontro a una luce che deve darmi energia, solarità e speranza per continuare a credere in tutto quello che ancora desidero”.
Il brano anticipa il nuovo lavoro discografico del chitarrista, la cui uscita è prevista ad ottobre: “Sarà l’album che più ho a cuore, un progetto quasi tutto acustico pensato e voluto con la mia testa da musicista”.
Alla musica quando si è avvicinato e quando ha capito che sarebbe stata la sua strada?
La musica è sempre stata presente nella mia vita grazie a mio fratello, ma io non mi sono avvicinato subito a lei perché ero molto preso a seguire i concerti di Pino. Onestamente non avrei mai pensato di ritrovarmi un giorno a fare lo stesso mestiere di mio fratello. Per quanto strimpellassi la chitarra nei club della mia città, la musica restava in secondo piano. Il primo posto era occupato dal calcio. Ero un capo dei tifosi e seguivo molto spesso la mia squadra del cuore anche in trasferta. Oggi sono cambiate un po’ le cose ma la passione per il calcio è comunque rimasta.
Degli esordi con suo fratello che ricordi ha?
L’esordio ufficiale è avvenuto nel 2013 dopo diversi anni di gavetta. Quella data non la dimenticherò mai perché è stato un momento importante nella mia vita personale e professionale. E’ stato un momento talmente forte, talmente importante, che posso dire senza dubbi che ha superato di gran lunga il mio debutto discografico. Era una domenica del 2013, io ero in hotel e stavo cercando nella mia camera di pensare come organizzare il mio live tour. Pino mi ha telefonato inaspettatamente e mi ha detto: “Nello! E’ ora di salire sul palco. Suoniamo insieme nei sei concerti che ho a Napoli!”. Lì per me si è fermato tutto.
Dal suo primo album “Si potrebbe amare” ad oggi cos’è cambiato nel suo modo di fare musica?
Non è cambiato nulla. Sono fiero di essere rimasto il musicista che ero a i tempi di “Si potrebbe amare”. Ovviamente sono cresciuto, qualcosa si è modificato, ma io sono rimasto lo stesso e, specialmente, sono rimasto un “musicista libero”.
Guardando invece la scena musicale partenopea, quali sono stati i cambiamenti? Cosa e chi le piace della musica “made in Naples” di oggi?
Di cambiamenti nella musica partenopea ce ne sono stati davvero tanti, ma io continuo a preferire l’esperienza e l’anima di Enzo Avitabile perché è l’unico che riesce a trasmettermi carica ed emozioni sia attraverso le sonorità sia attraverso i racconti. Parlando invece di musica “attuale”, ovvero la musica rap, preferisco di gran lunga una vecchia volpe che si chiama Speaker Cenzou perché, forse non lo sanno in tanti, ma è stato il primo a proporre un certo tipo di linguaggio che oggi adoperano in molti.
Della sua città cosa ama e cosa, invece, non sopporta?
Della mia città da buon napoletano mi piace tutto. Il mare, il cibo, il clima, la gente. Riesce a piacermi anche tutto quello che non funziona e che a volte mi mette un po’ di agitazione. Napoli è così. O la si ama in tutto e per tutto o la si odia. Io la amo incondizionatamente.
Qual è il momento della sua carriera da incorniciare?
Come dicevo prima, il momento da incorniciare non può che essere il 2013. Quel dicembre del 2013 al Teatro Palapartenope di Napoli. Quello è stato il momento più vero, quello è stato il momento e il ricordo indelebile. Io e mio fratello sul palco. Insieme.
Nella vostra infanzia la musica quanto ha contato?
Diciamo che, nella nostra infanzia, la musica contava molto più per lui che per me. Io, del resto, ero molto piccolo. Ricordo quando mio padre lavorava al porto e ci portava a vedere i soldati delle portaerei americane che suonavano in un club che si chiamava “Marocco”. Questi uomini erano quasi tutti di colore e suonavano musica blues. E’ stato proprio lì che Pino ha iniziato ad apprezzare i suoni e il genere al punto tale da trarne ispirazione e arrivare a tradurre in lingua napoletana tutto ciò che ascoltava.
C’è un brano del repertorio di suo fratello a cui è più legato?
Sono legato a “Je so’ pazzo” perché è stato il primo grande successo di Pino che imparai a memoria immediatamente. Quella canzone diventò un tormentone anche tra i ragazzi per la sua strofa finale, oserei dire, molto diretta. Ricordi? “Je so’ pazzo, je so’ pazzo, nun nce scassate ‘o cazzo!”
Ce l’ha un sogno professionale da realizzare ancora?
Certo che ce l’ho! Vorrei creare una scuola di musica per far avvicinare i giovani allo strumento acustico. Vorrei insegnare alle nuove generazioni la composizione della musica in modo naturale, insomma, alla vecchia maniera e non con il digitale!