Ernesto Bazan, le fotografie del nostro agente all’Havana

0
Ernesto Bazan, fotografare per raccontare le anime

“La vita d’una persona ripercorre un insieme di eventi, di cui l’ultimo può cambiare il significato dei precedenti, non perché più importante degli altri secondo un ordine che non è cronologico, ma perché appartenente ad un’architettura interiore.” così affermava Italo Calvino. E in quest’affermazione troviamo il riassunto di quella che è sempre stata la vita di Ernesto Bazan: una vita piena.

Bazan coltiva infatti la fede dello Streben: un inesauribile impulso ad andare oltre, a tendere ad un superamento, a porsi una meta sempre nuova. Perché la bellezza è certamente necessaria per rallegrare lo sguardo ed il cuore, per portare l’uomo verso luoghi della mente inesplorati e segreti, ma l’idea del bello presa singolarmente non è sufficiente; per vivere sono necessari anche pane, calore e stabilità… e sono necessarie le promesse, perché la speranza proietta verso il futuro, ma spesso la strada per il futuro non è che l’inizio di un qualcosa di diverso da ciò che ci si aspettava.

Ernesto Bazan, è un fotografo italiano. Studia a New York alla School of Visual Arts e dopo quattro anni entra a far parte dell’agenzia Magnum per un breve periodo della sua carriera. Dal 1992 al 2006 vive nell’isola di Cuba. Il lavoro svolto in quegli anni gli varrà l’assegnazione di alcuni prestigiosi premi fotografici tra cui il W. Eugene Smith, il World Press Photo, il Mother Jones Foundation for Photojournalism. Nel 2002 sviluppa i suoi workshop di fotografia e tra il 2008 e il 2014 pubblica i tre libri Bazan Cuba, Al Campo e Isla che costituiscono il progetto, la Trilogia Cubana. Ha esposto in Europa, America Latina e Stati Uniti. Le sue fotografie fanno parte delle collezioni permanenti al MoMa e all’International Center of Photography di New York.

Ernesto Bazan, fotografare per raccontare le anime

Qual è il suo primo ricordo con la macchina fotografica?
È stato nel momento in cui mi sono reso conto che potevo raccontare attraverso la fotografia la parte più intima di me stesso, la mia anima, piuttosto che la realtà fisica – che ci induce a pensare, viaggiare, immaginare – che scattiamo col nostro occhio interno: il vero obiettivo fotografico. Quando si scatta lo si fa non per motivazioni fisiche o geografiche, ma per quello che ci portiamo dentro fin dall’infanzia.

Ferdinando Scianna afferma che i fotografi sono ladri di realtà, in attesa dell’istante in cui Dio fa capolino…
Si, secondo me è una magia vera e propria, perché quando capita di riguardare i tuoi provini, amareggiato o deluso per i grandi insuccessi della stragrande maggioranza delle fotografie, trovi queste sorprese in cui tutto coincide, tutto funziona quasi per magia. Come se Dio ti permettesse di ritrarre un momento di pura poesia.

Fotografia come testimone onesto dei fatti o anche pretesto per sognare e far riflettere?
Per raccontare l’essenza di un popolo, di un’isola. Oggi vengono prodotte miliardi  d’immagini ma le fotografie che lasciano un segno sono quelle che riescono a catturare un sentimento, un’emozione. Il mio mentore, Robert Frank, raccontava nel suo libro sugli americani, che anche lui si sentiva strano in questo posto e diverso dalla sua Svizzera e, riuscire a coniugare contemporaneamente le due cose, era davvero difficile da fare. Ed io, da quarantadue anni, provo a fare lo stesso. Per dieci anni non sono riuscito a tornare a Cuba, perché sono diventato persona non gradita per cui Bahia è diventata per me la mia nuova Cuba e Salvador la mia nuova Havana. Quindi, hanno lenito in qualche maniera le mie ferite, perché mi sentivo nuovamente  a casa, anche se in modo molto diverso da Cuba, e con lo stesso tempo con radici molto simili: afrocubane e afrobrasiliane.

La fotografia potrebbe essere detta dagherrotipo dell’anima… quindi il fotografo volendo potrebbe leggere dentro i suoi soggetti?
Assolutamente. La capacità di cogliere l’essenza o i sentimenti di un soggetto, questa è la vera magia. È come cogliere l’anima del proprio soggetto.

Per riuscire a vedere l’invisibile bisogna praticare l’attenzione, l’ascolto per scoprire il mago che è in noi. La capacità visionaria è innata o arriva all’improvviso come una folgorazione?
Non credo sia innata, bisogna avere una predisposizione, un talento. Però quando si pratica la fotografia, per me la fotografia è come uno sport che bisogna praticare costantemente, per consentire al nostro occhio interno di essere allenato e di poter reagire immediatamente quando si presentano delle situazioni in cui avverti che c’è qualcosa di speciale, di magico, di essenziale, di poetico. Non cerco di documentare ma di scrivere poesie. Agli inizi dovendo vivere di fotografia, collaboravo con riviste e giornali, ma col tempo ho creato i miei workshop fotografici, che fu la ragione per cui ho dovuto lasciare Cuba; i workshop sono una delle cose più belle che ho fatto nella mia vita. Quindi da fotografo professionista sono diventato maestro, lo dico nell’accezione più umile del termine. Lo considero un ulteriore dono che ho ricevuto, quindi, non solo fotografare ma anche insegnare, circostanza questa, che dopo 18 anni ha portato alla creazione di una piccola casa editrice con cui abbiamo pubblicato la mia trilogia cubana e che pubblica le fotografie dei suoi migliori studenti.

Com’è diventato fotografo?
Sono diventato fotografo grazie ad un sogno che feci a 17 anni, in cui ho sentito semplicemente una voce, che mi diceva che avrei dovuto fare il fotografo. E la cosa sorprendente fu che il giorno dopo, per prima cosa, lo comunicai ai miei genitori. E posso dirti che dopo 42 anni, continuo ad inseguire lo stesso sogno. Negli ultimi 8 anni l’ho ricordato, forse perché ho ritrovato la Fede, ho capito di essere l’autore delle mie fotografie, ma sono convinto che ci sia un’energia superiore che mi guida. Dopo un altro sogno di mia moglie, mi ha anticipato che avrei potuto far ritorno alla mia Cuba. E così è stato.

Ernesto Bazan, fotografare per raccontare le anime

Sicilia, Cuba e Bahia: tre mondi due cuori. Paolo Monti dice che si fotografa con i piedi. Cittadino del mondo: dove si trova la sua casa?
La mia casa è senz’altro il mondo. Cito Sciascia: “io detesto, odio la Sicilia tanto quanto l’amo”. E questo è il mio rapporto con entrambe le isole. Con Bahia ho un rapporto un po’ più positivo, se vogliamo meno traumatico. La Sicilia è il luogo dove ho aperto gli occhi e visto la luce per la prima volta, dove ho iniziato a fotografare. La amo ma allo stesso tempo non ci ritornerei mai. La stessa cosa dico per Cuba, dopo l’uscita traumatica nel 2006 a causa dei miei workshop, perché non rispettavano le regole del corrispondente estero. E con grande dolore ho dovuto abbandonarla. Ma col senno di poi è stata una benedizione perché mi ha permesso di evolvermi e vedere il mondo. Mia moglie e i miei figli, nati a Cuba, sono diventati cittadini del mondo, altrimenti, rimanendo a Cuba sarebbero dovuti sottostare a regole che gli avrebbero reso la vita molto complicata. Ora, con Raul Castro, le cose sono un po’ cambiate. Bahia, Cuba, Sicilia, Perù, Messico sono i miei microcosmi, dove da 20 anni, con i miei workshop, sto portando avanti una serie di lavori che spero diverranno nuovi libri. M’interessano determinate realtà che mi permettono di raccontare storie con un taglio personale e non documentaristico.

Un auspicio?
Non mi sarei mai immaginato di poter ritornare a Cuba e avere la possibilità di pubblicare un quarto libro su questa splendida isola. Non avrei mai immaginato di poter farne un altro dopo una trilogia sullo stesso soggetto, invece, fortunatamente qualche energia divina ispira e rafforza la mia volontà affinché ciò avvenga. Finalmente, potrò ultimare ciò che avevo lasciato a metà dieci anni fa.