Federico Mecozzi, il golden boy di Sanremo ora direttore d’orchestra

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Federico Mecozzi, il golden boy di Sanremo ora direttore d'orchestra
fonte federicomecozzi.com

Classe 1992 Federico Mecozzi è uno dei direttori d’orchestra più giovani d’Italia ed è stato anche il più giovane a Sanremo, dove ha diretto il brano Nonno Hollywood di Enrico Nigiotti. Polistrumentista (ma principalmente violinista), collabora dal 2009 con il celebre compositore e pianista Ludovico Einaudi, che affianca dal vivo in lunghe tournée nei più prestigiosi teatri e arene del mondo. Ha lavorato anche con e per Pacifico, Angelo Branduardi, Blonde Redhead, Remo Anzovino, Filippo Graziani e Andrea Mingardi.

Tra i tanti impegni il 25 gennaio è uscito Awakening, il suo album d’esordio, e presto partirà anche un tour che toccherà le principali città italiane.

Come è nata la tua passione per la musica?

È nata molto presto, intorno ai cinque anni. In casa mia si è sempre respirata tantissima musica. Nonostante i miei non siano musicisti, sono sempre stati grandi appassionati e io già da piccolissimo, a cinque anni, ascoltavo De André, che poi è rimasto uno dei miei riferimenti. Così ho deciso di studiare la chitarra per imparare a suonare e cantare le canzoni di De André. È nata tutto in modo molto giocoso. La musica è diventata una passione finché a un certo punto è diventato uno studio più approfondito. A dodici anni infatti ho deciso di iscrivermi al conservatorio scegliendo però il violino, uno strumento abbastanza impegnativo, che da quel momento è diventato il mio strumento principale. Lentamente, oltre che una passione, è diventato un lavoro con le prime esperienze che sono andate poi in crescendo e quindi sostanzialmente è diventata la mia ragione di vita.

Hai da poco diretto l’orchestra per il brano di Enrico Nigiotti a Sanremo. Come è stata questa esperienza?

È stata straordinaria, fuori dall’ordinario paragonata alle tante esperienze artistiche che ho fatto. Mi sono immerso in un mondo che fino all’anno scorso era solo televisivo, da spettatore, e poi mi sono trovato lì sul palco dell’Ariston, e con il ruolo di direttore d’orchestra! È stato qualcosa di unico. Sono contento di aver scelto di vivere questa esperienza perché mi ha portato tantissime soddisfazioni in più. Sono stato davvero felice di farlo con e per Enrico Nigiotti con il quale ho approfondito anche una amicizia. Ci siamo trovati benissimo. Il brano da subito l’avevo trovato meraviglioso e quindi è stato molto stimolante lavorarci a livello di arrangiamento orchestrale. La settimana del festival è una giostra pazzesca in cui non ci si ferma mai, non si dorme mai ma è stato bello anche quello, è stato un vivere un’esperienza nuova. Sotto tutti i punti di vista.

Cosa ne pensi del verdetto finale di Sanremo?

Comprendo un certo tipo di insoddisfazione verso il regolamento, la valenza della natura dei voti, perché effettivamente c’è un bel dislivello fra quello che è stato il voto popolare e poi il risultato effettivo. Forse questo aspetto va rivisto. Detto ciò, artisticamente trovo che in generale il livello dell’intero festival sia stato qualitativamente molto alto, molto giovane e questa l’ho trovata una cosa molto positiva perché è un festival al passo coi tempi. Per cui non posso che complimentarmi in ogni caso con chi ha vinto. Poi personalmente il brano mi è piaciuto dalla prima volta che l’ho ascoltato. Non ho assolutamente nulla in contrario da dire, a parte forse questa esigenza di dover rivedere un attimo questa coerenza tra voto popolare e risultati effettivi. Lo stesso Baglioni e la stessa organizzazione lo hanno un po’ ammesso che questa cosa andrebbe rivalutata.

Secondo te quale altro pezzo avrebbe meritato di vincere?

A me da subito ha colpito il brano di Silvestri e mi è anche piaciuta l’ospitata di Agnelli. Quel brano mi è arrivato molto, uno dei più forti che ho sentito. È stato un bel ritorno di Silvestri. È stato bello anche poter dare molto spazio ai giovani (che poi sono a tutti gli effetti dei big per il pubblico giovane di oggi) che hanno dimostrato di avere un vero spessore artistico anche di scrittura.

Sei stato il più giovane direttore d’orchestra di Sanremo, e sei uno dei più giovani in Italia. Nel nostro Paese i giovani vogliono ancora fare questo mestiere?

Mi auguro di sì, sempre di più, che sia questa specializzazione piuttosto che un’altra, l’importante è che i giovani continuino ad avvicinarsi alla musica in generale, al suonare uno strumento, che non deve essere per forza qualcosa di professionale, ma qualcosa che nella vita penso aiuti sempre. Il particolare ruolo del direttore d’orchestra è più raro rispetto ad altri approcci alla musica. Io principalmente suono, sono violinista e scrivo, e il ruolo della direzione d’orchestra è qualcosa di cui ho bisogno sporadicamente per completare una certa visone della musica. È una attività complementare che si aggiunge a tutto il resto, e che ti dà un nuovo punto di vista. Ci sono poi quelli che sono specializzati in direzione d’orchestra e quasi abbandonano il suonare, e anche quello lo trovo un po’ restrittivo, però è molto soggettiva la cosa. Io ho bisogno di avere un rapporto dal vivo con lo strumento: cerco di comunicare me stesso nel suonare.

È da poco uscito il tuo disco d’esordio Awakening. Ci parli di questo progetto?

È il mio primo disco la solista e compositore. È arrivato un più tardi di quello che avrei voluto per via dei tanti impegni che avevo e continuo ad avere. Ci ho impiegato due anni e mezzo circa, ma è stato proprio quello il bello perché mi ha permesso di approfondire ogni brano e ogni momento musicale a più riprese, perfezionandolo il più possibile. È un disco che, proprio perché protratto nel tempo, penso che rispecchi tutto quello che nella mia vita sento a livello musicale. Tutto quello che volevo esprimere è uscito. E questo significa tantissimi colori diversi che ho accolto in tanti anni, in tante esperienze diverse: dalla preparazione classica che ho avuto alla tendenza al pop, che fa parte dei miei gusti da sempre, passando per colori della musica etnica presa dalla tradizione celtica, araba e da quella dell’estremo oriente. Sono tutte esperienze che si sono riunite e mescolate in questo disco.

Awakening è un disco strumentale dove al centro c’è il violino che viene usato come se fosse la voce, quindi alla fine i brani posso essere chiamati canzoni, almeno come la vedo io. Poi ogni cosa è giusto che arrivi a chi ascolta in maniera diversa. Per questo motivo è difficile spiegare un disco, soprattutto strumentale.

A cosa ti sei ispirato nel comporlo?

Nel mio caso non ci sono ispirazioni concrete ma sono magari momenti che si traducono in idee musicali. Spesso le cose nascono di notte, il momento più produttivo, per cui se ho i mezzi cerco di realizzare le cose altrimenti me le appunto e poi le riprendo e le sviluppo. Alcuni spunti iniziali sono nati a volte in compagnia di amici musicisti, anche in situazioni festose, come è il caso del brano Birthday (che è uscito prima del disco come singolo di anticipo), nato in una festa di compleanno in campagna, in un casolare, dove mi sono trovato con amici a suonare, a improvvisare e a divertirmi a notte fonda. Così è nato questo spunto melodico che ho poi voluto ripescare, ricordarmi e sviluppare. Questo brano è nato in un clima molto giocoso e in generale credo che si percepisca che quasi tutti i brani sono luminosi, c’è una certa tendenza più alla luce che al buio. Poi c’è sicuramente tanto lavoro mentale e ragionato come la scelta di suoni, un lavoro che ho fatto con Cristian Bonato che è il produttore del disco.

Ci sarà anche un tour…

 Sì, le prime date di presentazione del disco ci sono state subito dopo la sua uscita, il 26 e 27 gennaio al teatro Galli di Rimini, la mia città. E sono state entrambe sold out. Ora lo portiamo (siamo una band di cinque elementi sul palco)dal 2 al 6 marzo a Torino, Milano, Bologna e Roma. Queste date ancora non sono sold out ma ovviamente ci stiamo lavorando!