Francesco De Sanctis, nella sua Storia della letteratura italiana, riporta un significativo passo di Voltaire dedicato a Dante: “Gl’italiani lo chiamano divino ma è una divinità occulta; pochi intendono i suoi oracoli; la sua fama si manterrà sempre perché nessuno lo legge“.
In effetti, salvo gli specialisti della materia o i lettori particolarmente eruditi, quanti possono leggere agevolmente la Divina Commedia? La scrittura in versi (le celebri “terzine dantesche”), la lingua, la fitta rete di figure retoriche e la tematica non la rendono una lettura facile. Lo ammette doverosamente anche una dantista del calibro di Anna Maria Chiavacci Leonardi quando parla della Commedia come di un poema “culturalmente remoto” in cui “lingua, tradizione letteraria, situazione storica, convinzioni filosofiche e teologiche, tutto ciò che forma il tessuto culturale del testo fa parte di un mondo a noi per lo più estraneo“.
E’ da qui che è partito Alessandro Nava nel concepire la sua decodifica in prosa narrativa: Dante, Commedia. Una decodifica in prosa narrativa (Manzoni Editore, pagg. 492, euro 30), infatti, non è altro che un racconto “in prosa” del testo dantesco, una “mega-parafrasi” dei 100 canti e 14.233 versi danteschi.
L’autore stesso, nell’introduzione, spiega lo scopo del suo lavoro: “Ritengo sia quantomeno possibile leggere la Commedia in maniera tale da comprenderla subito. Ho osato troppo? È possibile. Mi chiedo però se non sia peggio non capire Dante nell’insieme, o conoscerne sempre e solo quei due o tre canti che in genere vengono recitati durante le pubbliche letture“. O – aggiungiamo noi – che si leggono a scuola.
Insomma, si tratta di un lavoro davvero monumentale: un’intera parafrasi della Divina (come la appellò Boccaccio) Commedia.
Da ora, tutti possiamo approcciare senza gli ostacoli del tempo uno dei testi fondativi della nostra letteratura, della nostra lingua e della nostra identità nazionale.