Il suo nome è Lidia Vivoli ed è nata a Milano ma ha sempre vissuto a Palermo: la sua storia racconta l’ennesima violenza sulle donne, fortunatamente senza una fine tragica come, invece, accade a molte di noi. NOI. NOI. NOI.
Sullo schermo del mio PC ho scritto queste lettere in tutti i caratteri e le dimensioni per fissarlo bene in testa. Le donne a cui accadono queste storie non sono altre, LORO siamo NOI. Ripeterlo non guasta. Lidia ha studiato, si è laureata, lavorava come assistente di volo per la WindJet. Dopo la separazione incontra un uomo di cui si innamora. Dolce, carino, allegro e disponibile. Proprio così. Eppure il dolcecarinoallegroedisponibile, la sera del 24 giugno 2012, si addormenta abbracciato a Lidia, per poi svegliarsi nel pieno della notte e, con una ferocia inaudita, colpire la donna con una enorme padella di ghisa: “Ad un certo punto la padella si ruppe sulla mia testa ed io riuscii ad alzarmi in piedi, non contento lui trovò un paio di forbici molto grandi e me le piantò nella schiena. Impugnando le forbici come un pugnale mi colpì ripetutamente anche al viso, provocandomi una ferita dal sopracciglio allo zigomo. Infine tentò di soffocarmi con il filo dell’abat-jour, io lottavo disperatamente, cercavo di resistere: con le forbici riuscì a colpirmi nel coccige. Riuscì a divincolarmi colpendolo sui genitali”.
La storia di Lidia Vivoli è lo specchio di ciò che succede spesso in Italia: l’uomo fu arrestato subito dopo il tentato omicidio ma, dopo appena cinque mesi uscì dall’Ucciardone (carcere di Palermo – ndr) in attesa del processo, continuando a contattare e minacciare la donna. Nell’aprile del 2015 l’ex compagno della donna torna in carcere con una sentenza definitiva per tentato omicidio e sequestro, con una condanna di 4 anni e 6 mesi, grazie al patteggiamento allargato. Ad ottobre stava per essere messo in libertà se la denuncia per stalking del 2014 non lo avesse trattenuto in carcere.
Nonostante viva come una condannata a morte, Lidia ha deciso di raccontare a tutti ciò che le aveva fatto l’uomo che diceva di amarla: “Molte donne denunciano ma, se non c’è pericolo di vita, le forze dell’ordine non possono intervenire, in più dopo la denuncia non esiste nessuna tutela perché tra la denuncia e l’inizio del processo trascorre un anno; moltissime delle donne che vengono uccise avevano già denunciato! La legge italiana è garantista: ma garantisce solo i delinquenti e MAI le vittime! Occorre abolire il rito abbreviato, il patteggiamento e tutti gli sconti previsti dalla legge, per reati intenzionali e violenti. Occorre che, una volta arrestati, questi soggetti rimangano in carcere almeno fino alla fine del processo, i vari divieti (di avvicinamento, di soggiorno, ecc.) non hanno mai salvato la vita ad una donna!”.
Lidia, come tutte le altre donne vittime di violenza che hanno avuto la fortuna di restare vive e potere raccontare la loro storia, da quel giorno ha perso la serenità: ha paura di tutto, il buio è il suo nemico, mi chiede perché tutto questo non ha un risarcimento: “Perché sono stata abbandonata? Adesso c’è in corso il processo per stalking che mi sta sfiancando psicologicamente, mi sto scontrando con la realtà processuale che è ben lontana dalla logica e dal buon senso. In nessun altro reato la vittima viene colpevolizzata, giudicata o addirittura diventa alibi della violenza, come nei delitti contro le donne! Se una persona subisce lo scippo di una borsa, valigia, computer, gioielli o altro e va a sporgere denuncia NESSUNO chiederà come era custodito l’oggetto rubato o se il suo atteggiamento ha provocato il ladro o, piuttosto, se ha lasciato intendere, al ladro, che era disponibile a farsi derubare… Eppure queste ipotesi vengono sollevate soltanto nel caso in cui una donna denuncia una violenza! PERCHÉ?”.
Lidia è una donna di grande forza, però non si è arresa e ha voluto sorridere ancora una volta alla vita che le ha donato due gemellini: “Nonostante le difficoltà economiche io rivoglio la mia vita, la mia dignità e un lavoro, ricevo migliaia di messaggi di solidarietà ma nessun aiuto concreto! Non è possibile che l’unica alternativa, che io trovo inaccettabile, sia quella di finire reclusa in posti lontani da tutti gli affetti, perché viviamo in un paese che pensa a garantire i diritti di delinquenti e assassini e mai quelli della vittima perché, forse, la vittima non ha diritti”.
La rubrica di OFF #legittimadifesa è un’iniziativa in collaborazione con UNAVI Unione Nazionale Vittime
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