Stefano Zoff, l’abbraccio più bello del mondo

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CC0 Creative Commons
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E’ l’alba. Cappuccio calato sulla testa calva. Strada avanti e andare. Sperare nella solitudine a Monfalcone è una pazza idea. Arriva puntuale la pacca sulla spalla, “Ciao Stefanino, sempre a correre stai. Ormai hai 33 anni, è ora che tu faccia qualcosa”. Rimprovero bonario, ma Stefano Zoff lo ha sentito troppe volte. Porta in giro un fisico, e soprattutto un viso, da comparsa di film di pirati o da co-protagonista di film horror. Quello simpatico, il primo a morire.

Non è proprio l’ideale per un pugile, per un campione. Ah poi c’è quel cognome che è una strada sbarrata. Per quanto tu possa fare non sarai mai il numero uno. Stefano non è uno che non vince, campionato italiano, campionato europeo. Fiammate, sembra che gli manchi sempre qualcosa. E poi c’è quella pacca sulla spalla come a dire: “Dai, il tuo lo hai fatto, ora ci sono i cantieri è finita la ricreazione”.

E in effetti a 33 anni chi te la dà più un’occasione? Nel pugilato, però, ci sono degli incontri particolari. Quelli in cui un campione deve difendere il titolo ma è reduce da combattimenti duri e non vuole rischiare. Avete presente Rocky contro Apollo Creed? Ecco, quel tipo d’incontro. A 33 anni sei la vittima sacrificale perfetta.

Corri Stefanino, corri. È l’ultima estate del millennio. Il 7 agosto, a Le Cannet in Provenza c’è tutto il paese a riempire il palazzetto per l’idolo di casa: Julien Lorcy. Un torello dalle mani pesanti che ha da poco conquistato il titolo di campione del mondo.  Sei la difesa facile Stefanino. Ma di facile Stefano Zoff nella sua vita non ha mai avuto nulla. Non è nemmeno un peso leggero naturale: è dovuto salire di categoria per cogliere questa occasione.

Non c’è la Rai, non ci sono i giornalisti italiani di grido. Qualche inviato giusto per dovere di cronaca. Non si vede nemmeno il soffitto dal fumo che c’è. Si parte. Sul braccio sinistro Stefanino ha tatuato un cobra. Non per la potenza che non è di casa, ma per la velocità. Un morso costante che pizzica il volto di Lorcy. Alla seconda ripresa è già chiaro a tutti che quell’italiano lì, con una faccia che sembra un tornante di montagna, è venuto per combattere.

È una danza, un vortice di emozioni, una cosa inspiegabile. Lorcy attacca a vuoto e il sinistro di Zoff è una tela di Modigliani, uno sbuffo di colore rosso. Non ha il colpo del ko Stefanino, è un buono. All’ultima ripresa il francese gli rifila una testata. Lui che non si è mai spaccato in carriera sente il sangue inondargli il viso. Non ce la faccio, non ce la faccio. All’angolo Salvatore Cherchi gli urla in faccia di tirar fuori gli attributi. Basta pacche sulle spalle.

L’incontro finisce. Il francese viene portato in trionfo dai suoi e dai tifosi. Stefano Zoff è all’angolo che cerca lo sguardo di Veronica, la sua bambina. Non lo trova. Arriva il verdetto. 117-114 per Zoff, manca il fiato. 117-114 per Lorcy, ma che match ha visto questo? L’ultimo, 116-113, cala il silenzio.

Stefano non sente più nulla, nemmeno il peso delle pacche sulle spalle e delle strette di mano. Bravò, bravò. E’ negli spogliatoi con le gambe a penzoloni dal lettino. Arriva Veronica con la mamma Deborah, “Papà papà ti ha fatto male?”. Segue l’abbraccio più bello del mondo, “Allora hai vinto?”. Sì, ha vinto.