
Si scrive musica da secoli, ma quale musica ascoltiamo di più. È un dato di fatto che il repertorio antico e quello contemporaneo sono appannaggio di un’élite di ultra-intenditori. La stragrande maggioranza della musica che si ascolta nelle odierne sale da concerti o teatri fa parte di quella fetta che va dal tardo Barocco al primo Novecento. O, come dice Raffaele Mellace, docente di Storia della Musica all’Università di Genova, da Bach a Debussy.
E Da Bach a Debussy è proprio il sottotitolo dell’ultima (monumentale) fatica del musicologo italiano: Il racconto della musica europea (Carocci, pagg. 560, euro 45) è un testo assolutamente unico nel panorama editoriale italiano.
Punto di partenza nella redazione del testo è l’oggettiva assenza, nelle librerie italiane, di una storia della musica pensata e destinata per chi non sia avvezzo alla manualistica accademica: la quasi totalità dei testi storici sulla musica occidentale, infatti, si rivolge a studenti di Conservatorio.
Questo libro, dunque, è essenzialmente divulgativo e il più possibile accessibile agli amanti della musica sprovvisti di quei prerequisiti tecnici che possano loro permettere la fruizione di manuali specialistici: «Il lettore digiuno di studi che frequenta regolarmente la musica nelle sale da concerto e nei teatri d’opera», scrive Mellace, «faticherà non poco a trovare un testo adeguato all’alta qualità del suo livello culturale e alla contestuale modestia delle competenze tecniche».
Da questo deriva il taglio dell’esposizione di Mellace: come annuncia già il titolo, Il racconto della musica europea è proprio un “racconto”, «un testo concepito per una lettura continuativa, che della storia della musica occidentale propone una narrazione».
I nuclei (o meglio, le «stagioni») attorno ai quali ruota il testo sono cinque: «Barocco maturo», «Il Settecento», «Lo stile classico», «Romanticismi», «L’invenzione della modernità». Ciascuna sezione è suddivisa in tre parti: un «Preludio» con il contesto socioculturale dell’epoca, una parte centrale con l’esposizione musicale, e delle «Vite parallele», medaglioni dedicati ad autori particolarmente emblematici del periodo trattato.
Nell’impossibilità di annotare la totalità delle caratteristiche del volume – già, come abbiamo detto, un unicum in sé – ci limitiamo a segnalare alcuni aspetti particolarmente meritori come, ad esempio, la suddivisione dei «luoghi del canto»: teatro, camera, chiesa con ciascuno il proprio stile (secondo il sopranista Tosi, anno 1723, «per il teatro vago e misto, per la camera miniato e finito, e per la chiesa affettuoso e grave»); una “vita” dedicata, dopo Bach, ai (numerosi) «figli di Bach»; l’estrapolazione di Giacomo Puccini dal calderone dell’opera italiana e il suo inserimento a pieno diritto nella «geografia del moderno». Infine, le tante «Vite parallele» concentrate su autori minori e finora un po’ declassati come Giovanni Bononcini, Antonio Caldara, Leonardo Leo, Giovanni Paisiello, Gaspare Spontini, Leos Janacek, Hugo Wolf, Franz Lehar.