La politica viaggia sempre più velocemente, così tanto da storicizzare episodi di pochi anni fa, che per molti potrebbero rappresentare ancor più cronaca che storia. E’ proprio una di queste vicende a fare da fulcro al saggio geopolitico scritto a quattro mani da Luca Lezzi e Andrea Muratore, dal titolo Il socialismo del XXI secolo. Le rivoluzioni populiste in Sudamerica. Un libro controcorrente, dove molti luoghi comuni su quanto accade nel Sudamerica vengono completamente ribaltati con l’aiuto di dati oggettivi.
Il corposo volume, 248 pagine più un ricco glossario che aiuta a comprendere al meglio i termini latinoamericani, si articola suddividendo i capitoli secondo un criterio che separa i dieci stati dell’America meridionale in base alle conquiste sociali di cui hanno usufruito i cittadini negli ultimi quindici anni.
Partendo dalla prima elezione di Hugo Chavez in Venezuela, dal 1999 fino al 2015, il subcontinente latinoamericano ha conosciuto dei veri e propri governi rivoluzionari che, contrastando le politiche neoliberiste e gli accordi di libero scambio come l’ALCA (Area di libero commercio delle Americhe, n.d.r), hanno riscritto le Costituzioni di alcuni Paesi includendo finalmente anche le minoranze indigene da sempre discriminate.
L’elezione di un presidente indios in Bolivia come Evo Morales, tuttora al governo, si è svolta, però, in un clima ben diverso da quello che siamo soliti vedere in altre parti del mondo.
La caratteristica principale dell’America latina è quella di vivere al di fuori delle categorie dell’odio politico ed etnico, che si riscontrano invece nel mondo occidentale o più recentemente nel Sudafrica del nuovo apartheid anti-bianchi.
Nel libro è molto ben chiara anche la definizione di populismo che abbraccia, sotto l’idea definita, appunto, di socialismo del XXI secolo, i governi di sinistra nel continente con un origine ben radicata fin dal secondo dopoguerra quando emerse in Argentina la figura di Juan Domingo Perón.
In quella zona del sud del mondo sembra anche essere arrivata in anticipo la fine della terminologia destra/sinistra e apporre una visione europea oppure occidentale alla politica sudamericana non aiuterebbe minimamente a comprendere le caratteristiche dei partiti che hanno portato alle lunghe leadership di Chavez, Rafael Correa in Ecuador, Evo Morales in Bolivia, Lula in Brasile o i coniugi Kirchner in Argentina.
Di certo il lungo periodo di abbondanza, economica e non solo, conosciuto come decade dorada è terminato e la grave colpa che ricade su alcuni di questi uomini di governo è quella di non aver predisposto per tempo una diversificazione della produzione in grado di rendere autonome le politiche economiche e commerciali degli Stati dal prezzo sui mercati internazionali delle materie prime di cui sono ricchi.
Il maggior paradosso è rappresentato dal fatto che le nuove classi sociali intermedie hanno iniziato a girare le spalle a questi governi dando vita ad un riflusso in cui si sono inseriti con grande abilità uomini del mondo dell’imprenditoria privata, che hanno saldato le opposizioni in nuove coalizioni di stampo neoliberista e usufruito delle leggi elettorali molto restrittive nel continente che spesso non permettono più di un mandato presidenziale di fila, anche per via dei numerosi golpe militari intercorsi fino agli inizi degli anni Novanta che hanno dato vita a regimi tra i più brutali, per sconfiggere i delfini designati dai leader di riferimento.
Nel corso del 2018 molte nazioni latinoamericane saranno chiamate al voto e potremo assistere alla definitiva conclusione di quel ciclo o ad una nuova stagione di governi populisti.
Su Il Talebano sarà possibile, grazie alla collaborazione di Luca Lezzi, seguire l’evolversi della situazione.