Fulvia Bacchi: “Nostro dovere investire in Cultura”

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FulviaBacchiCosa spinge un imprenditore ad investire in cultura?

Nel nostro caso la decisione è nata dalla volontà di salvaguardare un patrimonio culturale e artistico di rilevanza mondiale. La concia italiana è un’eccellenza che trova testimonianza nei secoli. E quindi per l’associazione è quasi un dovere investire in cultura.

E i progetti di mecenatismo? Che importanza rivestono per un’impresa?

Sicuramente quella di sottolineare come al di là della produzione ci sia un retaggio storico, quindi un impegno a trasmettere anche alle future generazione il senso di appartenenza a un settore.

Per questo motivo avete anche prodotto un cortometraggio, I Come From…

Sì lo abbiamo fatto per tramandare questo nostro patrimonio. Noi diciamo sempre che il conciatore è stato il primo imprenditore della storia. Oggi la conceria italiana è un’industria tra le più avanzate al mondo, ma non vogliamo comunque dimenticare quello che è stato il nostro passato e quali sono stati i passi che l’hanno portata all’eccellenza di oggi.

In tutto questo, come si fa a far convivere tradizione e innovazione? 

Noi ci siamo riusciti perché traiamo dalle esperienze del passato. In questo modo riusciamo a mantenere quella fase di artigianalità, poi ovviamente ogni pelle è diversa dall’altra e quindi necessita di trattamenti diversi attraverso l’automazione e la meccanizzazione delle nostre industrie.

Tra le iniziative di UNIC c’è anche il balletto Il Mantello di Pelle di Drago. Come è nata l’idea?

Abbiamo pensato di raccogliere in un libro tutte le fiabe dedicate alla pelle (Il gatto con gli stivali, Pelle d’asino ecc.). Poi è nata l’idea di presentare una di queste fiabe nella forma inconsueta del balletto.  In questo modo abbiamo dimostrato come la pelle sia un materiale talmente duttile da poter essere utilizzato anche per i costumi dei ballerini che generalmente richiedono morbidezza. Questa forma d’arte c’è sembrato il modo migliore per raccontare le potenzialità della pelle.

Il Mantello di Pelle di Drago di Massimiliano Volpini alla Fortezza del Priamar. In Liguria-ph.-Franco-Covi
Il Mantello di Pelle di Drago di Massimiliano Volpini alla Fortezza del Priamar. In Liguria-ph.-Franco-Covi

Questo balletto l’avete portato anche all’estero…

Sì, l’abbiamo portato a New York e a Londra. Adesso è presente sul territorio nazionale. In questi giorni è a Cagliari, perché ha anche un obiettivo educativo soprattutto nei confronti delle nuove generazioni.

L’arte è quindi un buon veicolo per la conoscenza della produzione nostrana?

Sì, perché ci sono dei valori intrinseci nel nostro materiale che raccontano un percorso storico. E quindi è una forma assolutamente importante per raccontarlo.

E quanto è importante il legame, il rapporto con il territorio?

Tantissimo. La conceria italiana è legata soprattutto a quattro regioni italiane che sono: Veneto, Toscana, Campania e Lombardia. E’ un’industria che ha creato un indotto notevole (non ci sono soltanto le concerie) che rappresenta in questi territori una fonte di ricchezza, di cultura. Quindi ci sono dei legami che non moriranno mai con questi territori.

Tra i tanti, quali sono i prodotti in pelle per cui l’Italia è sempre al numero uno?

Tutti. Oggi non esisterebbero i prodotti delle griffe se non ci fosse la pelle italiana.

Perché? Quali sono le caratteristiche che rendono la pelle italiana superiore alle altre?

Soprattutto il modo in cui viene conciata. In Italia c’è un’attenzione ai temi della sostenibilità che nessun altro Paese al mondo può vantare.

La pelle è sempre stata un forte simbolo identitario, basti pensare al chiodo di Marlon Brando o ai pantaloni dei protagonisti di Easy Rider. Ha ancora la stessa capacità di creare uno stile unico?

Adesso rischia di non esserlo più. Con i tempi d’oggi questo attacco continuo da parte degli animalisti e dei vegani ha indubbiamente messo un po’ in crisi l’idea del suo legame ad un’identità precisa. Tuttavia la pelle ha uno stile unico e non a caso i grandi stilisti continuano a proporla. È un materiale vivo, naturale, capace di evolversi col tempo e rimane uno di quei materiali che hanno fatto e faranno la storia dell’abbigliamento e degli accessori.

Oltre alle iniziative culturali formate giovani stilisti. Qual è la caratteristica che deve possedere un bravo stilista per portare avanti la nostra tradizione?

Direi la perfetta e profonda conoscenza del materiale. Non è così facile utilizzare la pelle se non si è perfettamente consapevoli di quello che il materiale rappresenta, di quello che può esprimere, e infine dare nella realizzazione di un manufatto. Ci sono alla base delle tecniche di lavorazione che devono essere conosciute per ottenere la miglior resa possibile.

Come si può difendere il made in Italy dalla concorrenza estera?

Nel nostro settore siamo abbastanza fortunati perché per quanto riguarda la pelle non abbiamo molti concorrenti. Tanto è vero che viene riconosciuta come uno dei prodotti dell’eccellenza. Diverso è il discorso per i manufatti. In questo caso ci sarebbe la necessità di tutelare i nostri prodotti attraverso un’etichettatura che contenga delle indicazioni di come è stato realizzato il prodotto e di quali materie prime sono state utilizzate.

E dalle imitazioni? Qual è l’arma migliore per combattere questa piaga?

Sulla piaga della contraffazione il discorso è molto lungo perché purtroppo ormai il fenomeno è così esteso, così radicato, che diventa difficile.  Tuttavia, sarebbe innanzitutto necessario che il legislatore ci desse degli strumenti che possano aiutarci. Ad esempio, noi chiediamo da anni una normativa che tuteli il nome “Pelle” e “Cuoio”, e non riusciamo ad ottenerla. Questo già darebbe delle garanzie al consumatore.

La possibilità di definire qual è veramente il materiale che viene utilizzato rappresenta già un aiuto. Poi sono molto importanti i marchi, le etichettature, come il marchio Vero Cuoio e Vera Pelle che garantiscono non soltanto l’autenticità del materiale ma soprattutto il fatto che sia stato realizzato rispettando le più rigorose misure di sicurezze standard per la salute del consumatore. 

Anche a livello linguistico si possono creare dei danni?

Certamente sì. In questi anni si è visto un fiorire di pelle al vino, pelle alla mela ecc. e tutte cose di questo genere. Il materiale pelle è un materiale che dà delle garanzie di per sé. E’ un materiale che permette la traspirabilità perché è un intreccio di fibre tridimensionali. E poi, oltre a questa caratteristica, garantisce la resistenza. E già il fatto di definire i prodotti alternativi come “pelle” rappresenta di per sé un danno per il nostro settore, ma soprattutto è una truffa nei confronti del consumatore.

La pelle ha un costo diverso, ma è un costo che nasce anche dalle garanzie che offre. Tutti questi materiali alternativi sono sicuramente più economici, ma non conosciamo come vengono prodotti, e non sappiamo quali garanzie offrano nei confronti del consumatore, anche in termini di durabilità. Questo perché, quando si acquista un articolo, non bisogna considerare solo l’aspetto inerente la moda, ma c’è anche un discorso di durabilità. Parliamo tanto oggi di riciclo, riutilizzo ecc. e poi dimentichiamo come sia importante per esempio avere un salotto che duri vent’anni anziché un materiale alternativo che dopo due anni si rompe e lo devi buttare.