Mezz Gacano, musica a 360 gradi fra pop e derivazioni colte

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Mezz Gacano - Kinderheim | artwork by 3112htm
Mezz Gacano - Kinderheim | artwork by 3112htm
Mezz Gacano [Davide Mezzatesta] - Kinderheim
Mezz Gacano [Davide Mezzatesta] – Kinderheim

Dopo quattro album e tanti anni di musica in formazioni mutevoli al crocevia tra vari generi, Mezz Gacano ha pubblicato per l’etichetta siciliana Almendra Music Kinderheim, disco ricco di riferimenti, spunti e tensioni tra popular e colto, di connessioni artistiche ed extramusicali, in cui si lascia affiancare dalla piccola orchestra rock Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble (da lui fondata nel 2003 e riportata alla luce nel 2016).

E’ questo un album che per il poliedrico artista rappresenta un nuovo debutto: «Lo considero una sorta di rinascita dopo un periodo di stasi e “impantanamento” dovuto a una serie di eventi di diversa natura, tra cui la lunga lavorazione di Ozocovonobovo, disco che probabilmente vedrà la luce quest’anno, ovvero dieci dopo la sua realizzazione». Kinderheim, che coniuga passato e futuro, raccoglie brani scritti in più di un ventennio di attività. Sono invece trentadue gli anni di musica che ha alle spalle Mezz Gacano, dapprima progetto, poi vero e proprio alter ego di Davide Mezzatesta, multiforme compositore, chitarrista e pittore palermitano, tra i principali agitatori dell’underground nazionale con la sua musica di frontiera.

Cresciuto con una madre amante del beat e della musica psichedelica e un padre baritono lirico («Devo a lui la conoscenza di mostri sacri quali Titta Ruffo, Tito Schipa (Padre), Renata Tebaldi, Victoria de Los Angeles»), stringe tra le mani la prima chitarra a due anni, regalo di compleanno. E a quella tenerissima età già si lasciava trascinare dalle note di Richard Wagner: «I più attempati ricorderanno che i programmi televisivi aprivano con il Tannhauser, che mi ipnotizzava e mi ipnotizza ancora oggi».

Quanto agli esordi, conserva nella sua memoria «molta confusione, la voglia di fare “musica nuova” e non saper da dove cominciare. Era la primavera dell’86 e dopo anni di pianismo classico, solfeggi parlati e cantati e avere imparato (quasi) a memoria i momenti più significativi del melodramma italiano, scopro parallelamente il rock nelle sue accezioni più estreme, ovvero il punk e l’heavy metal.

Mezz Gacano - Kinderheim | artwork by 3112htm
Mezz Gacano – Kinderheim | artwork by 3112htm

Fu come se si fosse aperto un cratere vulcanico fatto di materiale rovente sonoro, abbandonai immediatamente Pozzoli, Trombone e Ciriaco, comprai un amplificatore e un basso e cominciai a sfogare la mia frustrazione martellando a più non posso».

Successivamente ricomincia a studiare in maniera moderna partiture di musicisti come Eddie Van Halen, Joe Satriani, Carlos Santana. «Tutti questi “ingredienti” sono stati serbati con lo zelo dell’alchimista e l’attenzione del cuoco provetto per poter essere “cucinati” a piacimento negli anni a venire; nel tempo non si perde nulla, credo nella trasformazione e nella mescolanza delle cose e quindi penso che sia rimasto parecchio nella dispensa della mia coscienza».

Dal 1986 Davide fa musica di ogni genere, stile, derivazione e colore. Sempre liberamente. «La libertà – spiega – è una conquista quotidiana, quasi un lavoro, da quando si è immersi in una società che ci vuole tutti inquadrati, belli, sorridenti e pettinati. È altresì un modus vivendi, per cui da quando andavo all’asilo ho sempre avuto a che fare con l’omologazione altrui, ma spontaneamente mi sono sempre salvato e ritengo che la musica, ma più in generale l’arte, abbia fatto da protezione».

Pronto a girare l’Italia con Kinderheim a capo della sua big band, dice infine la sua sulla musica italiana di oggi: «Ci sono sempre stati diversi livelli, sia di fruizione, sia di produzione. Evito di sprecare fiato parlando di aberrazioni come i festival storici, che servono solo a far tirare avanti la televisione statale con gli sponsor, o dei format “americanizzanti”, che stanno finendo di massacrare l’ormai agonizzante pop italiano.

Per fortuna, da sempre, in Italia esiste un tessuto (o un sub-strato) di sopravvivenza culturale che non ha mai smesso di “ardere” come negli anni ’70, in cui cominciava quella specie di “nouvel vague” tutta italica a suon di Albani e Romine e Ricchi e Poveri, che si contrapponevano a Banco del Muto Soccorso, Osanna, Locanda delle Fate, Stormy Six. Ma dal 2000 ad ora c’è una miriade di musica ottima che permea la penisola e soprattutto c’è il ritorno di una scena, quella del vecchio pop italiano di un certo livello, che oggi i giovani chiamano progressive rock».