Metti uno scatolone in una chiesa gotica

0
ilgiornaleoff

ilgiornaleoffUn grande scatolone, fatto di tante altre scatole di cartone, riempie quasi tutto lo spazio interno della piccola chiesa di Santa Maria della Spina sul Lungarno Gambacorti di Pisa. È l’opera proposta da Flavio Favelli col titolo di “Corona” per la terza mostra (aperta sino al 21 gennaio 2018) nel gotico sacello, dopo quelle di Wolfang Laib nella primavera 2017 e di Richard Nonas nell’estate -autunno dello stesso anno.

L’impatto disorienta. «Dov’è l’opera?», si domandano tutti in un mormorio imbarazzato il giorno dell’inaugurazione. L’artista, berretto calato sul volto, osserva serio, in un angolo, le reazioni. Una signora gira intorno allo scatolone e sussurra «forse è dentro, devono ancora scartarla». No, l’opera è questa. È proprio lo scatolone.

Pensiamo a una provocazione: accostare ad un gioiello gotico, che vanta opere trecentesche di Nino e Andrea Pisano, un oggetto minimale fatto di cartoni abrasi, di arte povera e pop, sembra un gesto davvero spiazzante. 

Chiediamo spiegazioni allo stesso Favelli, artista nato a Firenze nel 1967 e attivo a Savigno (Bologna), con un buon curriculum alle spalle.  Qual è il messaggio?  «’Corona’, dice, è il nome di una birra messicana, uno dei pochi marchi del Centro America divenuto globale. Corona, a forma di cubo, vuole essere un edificio con segni cancellati, scritte abrase, che hanno per me un significato intenso e una bellezza formale». Quale significato?  «Fin da bambino ho prestato sempre particolare attenzione al mondo della pubblicità, un mondo falso e artificiale. I marchi dei prodotti, coi loro loghi e i loro slogan, fanno ormai parte della nostra storia ed influenzano, proprio come l’arte del passato, la nostra esistenza».

Bisogna dunque calarsi nella psicologia dell’artista e nelle sue esperienze di vita? Ma l’opera non dovrebbe parlare a tutti con obiettività, emozionare? Certo, il titolo “Corona”, avrebbe potuto alludere più realisticamente alla corona di Cristo di cui si conservava una spina nella chiesa, non al marchio di una birra messicana. Ma l’artista riesce a trovare una correlazione anche tra la chiesa della Spina, un piccolo tempio e il suo «tempietto -baracca severa di cartoni abrasi come fossero tracce di una specie di “damnatio memoriae”».

Bisogna dunque lavorare di fantasia e immaginare che queste carte povere, abrase e assemblate dall’autore, inaugurino un dialogo con la gotica chiesa, a sua volta smembrata, svuotata, privata di opere e ricostruita eguale a distanza di qualche metro. Avveniva nell’Ottocento. Ci possiamo meditare sopra, almeno questo sì.