La poesia di oggi
sarà accoglierti a braccia aperte,
smussare gli angoli
ricoprendo di cotone i miei spigoli.
Non fingerò di essere buono
e la smetterò di difendermi
da un dolore antico
che come un gancio mi riporta
a quando ero bambino.
La poesia di oggi
sarà prendere per mano la mia bimba
e raccogliere con lei i sassolini.
Prima i piccoli, poi i grandi
e quando la bottiglia sarà piena
te la porteremo come un dono.
La mia poesia di oggi
sarà impressa sui vostri occhi
e con quella vi addormenterete
sprofondando nel mare limpido
in cui il vostro cuore
abita da sempre.
Ulisse Casartelli
da “Stanza n.12”, Pendragon, 2016.
***
Sogno
Dopo la bufera
erano al tavolo
capelli come angeli
mani crespe
morbide
il viso tenue
rilassato.
Parlavano basso
con felicità
per un pasto insieme
e un po’ di silenzio.
Ulisse Casartelli
da “La balena azzurra”, Acquaviva edizioni, 2017.
Di seguito, la conversazione con Ulisse Casartelli:
La sua prima raccolta poetica pubblicata (Pendragon, 2016) si intitola Stanza n.12. Di che stanza si tratta e cosa ha rappresentato per lei?
“È una stanza di una clinica dove sono stato due mesi per via di un esaurimento nervoso. La prima sera scrissi la prima poesia e la appesi al muro per tenermi compagnia. Nei giorni successivi continuai. Quando metà stanza fu tappezzata di fogli, capii che stava nascendo una raccolta. Arrivai a ricoprire per intero la stanza, ricevendo il complimento di un medico che un giorno disse: ‘Questa sì che sembra la stanza di un pazzo!’ Lo ringraziai di cuore, le sue parole mi confermavano l’opposto. Stanza n.12 rappresenta un bicchiere frantumato a terra dove ogni pezzo rivela una scheggia intima di me. Le parole hanno fatto da collante aiutandomi a rimanere unito, un po’ come avviene con le tazze giapponesi che una volta rotte vengono ricomposte con l’oro. Ho ricomposto il mio io che ogni giorno moriva per rinascere in poesia”.
Nella nota introduttiva de La balena azzurra (Acquaviva edizioni, 2017), libro nato dopo le dimissioni dalla clinica, lei stesso scrive, circa l’operazione di divisione tra ‘Poesie Felici’ e ‘Poesie Tragiche’: “senza accorgermene fui folgorato da quanto significato inascoltato era emerso”. Ci racconti cosa è venuto a galla.
“Tra le tante poesie che esprimevano l’incubo del ritorno a una ‘vita normale’, notai con sorpresa quante poesie erano invece state un invito a tornare a vedere le piccole cose, in particolare i miei figli. Il sentiero emerso era d’amore, verso l’abbandono e la riconciliazione con me stesso. Come dice Alda Merini ‘Il depresso è fermo come un vigile urbano sul suo dolore’. Questo lo rende impenetrabile a ciò che lo circonda. Così mi proposi la sfida de La balena azzurra poiché in poesia come nell’arte la cosa più difficile è raccontare quel breve attimo di felicità. È un attimo, ma non dobbiamo dimenticare che esiste, cercare di pescarlo anche con una sola parola”.
Nella postfazione in versi del poeta Donato Di Poce a La balena azzurra, si legge: ai poeti si perdona tutto / tranne il successo / e la felicità mentale. C’è qualcosa per cui lei non riesce a perdonarsi?
“Ciò che non mi perdono è non avere la forza di vivere come una ‘persona normale’. Sento di vivere senza pelle con una bomba atomica nello stomaco e il mondo ogni volta mi investe come un treno in corsa. Da questo scontro, tuttavia, si genera il mio bisogno di scrivere, è quasi un circolo vizioso dove uno necessita dell’altro”.
Come passione lei è tipografo, lavora con caratteri mobili a piombo fabbricando piccoli librini poetici e incisioni fatte a mano. Come è nata questa passione e dove?
“Entrando nel castello magico di Alberto Casiraghy. Quando ci andai la prima volta per stampare, rimasi folgorato da quei piccoli caratteri in piombo che su una carta delicata imprimevano la parola, regalando uno splendore che la parola stampata non può avere. Nacque così il mio viaggio e grazie alla compagnia del mio socio Massimiliano Sarti, l’artista che compone le xilografie dei nostri librini, abbiamo deciso di imparare e creare una tipografia tutta nostra che adesso è l’associazione ‘Edizioni il Sottobosco’. Ci piace leggere e godere delle poesie altrui, e vederle nel tempo trasformarsi in arte, librini completamente costruiti a mano”.
Che rapporto intercorre tra poesia e verità?
“Per me la poesia è rivelazione, nudità dinnanzi a se stessi, spoliazione dei veli. Quando è tale diventa intersoggettiva, poiché svela una verità che abita ognuno di noi. Ma è anche uno squarcio che si apre nell’invisibile da cui con una mano emerge uno schiaffo e con l’altra una carezza. Ci vogliono una onestà e un coraggio disarmanti per solcare ogni volta il limite sulla verità che possiamo dire a noi stessi. Ad ogni modo a scrivere è l’inconscio, sempre quattro passi più avanti di dove siamo noi”.
Su cosa sta lavorando attualmente?
“A settembre uscirà L’Immensità della Cenere per Marco Saya edizioni, raccolta su cui lavorai i due anni precedenti a Stanza n.12. In aprile uscirà Erba Nuda per GaEle edizioni: sono 34 poesie dove ho cercato di riassumere i miei dieci anni di meditazione davanti a un muro bianco. Sto poi finendo di limare due raccolte già compiute: Fuori Traccia e Senza Maschera. Infine, sto scrivendo poesie che confluiranno nella raccolta Neve, che ancora non so dove mi porterà”.