Il valore del tempo e di se stessi. I versi di Gian Ruggero Manzoni

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L’acqua è uscita dalle sponde e fa da letto alle radici di betulla.

Il gibbo che ti gonfia le spalle scivola da spia nel mondo degli adulti.
Non comprendo la disumana volontà di sopraffarsi, ma quella mi abita
con voce che non mi appartiene, perché esce tronfia e plasmata.

Forse che sia innata l’arroganza degli uomini? Forse che sia anch’essa santa?

dalla sezione “Il fiume di betulle (il calore del sacrificio)”

***

LXIII

Le immagini si susseguono, ma l’essenza resta unica: è il concedersi / all’astinenza. / Io quando scrivo prego. Io quando prego, cancello il mio corpo in un / momento.

dalla sezione “Dagli scavi di Alesia (tutto il calore del libro)”

Gian Ruggero Manzoni, da “Tutto il calore del mondo”, Skira, 2013.

Di seguito, la conversazione con Gian Ruggero Manzoni:

Gian Ruggero Manzoni‘Tutto il calore del mondo’ (con opere per il testo di Mimmo Paladino) presenta l’acqua quale elemento predominante nell’ambito di una narrazione anche per metafore e richiamante visioni di tipo sacrale. Perché l’acqua, cosa simboleggia?

“La Bibbia è bagnata di continuo dal flusso dell’acqua. Essa è dono di vita e di purificazione; come marea fluttuante diviene simbolo di morte da cui la divinità poi ci salva; il Cristo stesso è simbolo d’acqua e l’acqua è il suo simbolo, perché portatore del verbo che monda dai peccati e che i tanti profeti avevano detto di attendere. Inoltre Gesù inizia la sua vita pubblica facendosi battezzare, per indicare che ha voluto immergersi nella nostra realtà; cambia l’acqua in vino perché nella sua persona si realizzano le promesse di Dio; nel dialogo con la Samaritana si presenta come acqua viva di sorgente che disseta per sempre; infine, dal suo costato, sgorgano acqua e sangue, segni del battesimo e dell’eucaristia. E mi limito a questo, non volendo, in questo caso, entrare in altri saperi e tradizioni”.

Nell’introduzione di Andrea Ponso al libro, intitolata ‘Salva te stesso scendendo dalla croce!’, vi è un richiamo alla verità che “si mostra attraverso il suo contrario, chi crede di insultare in realtà dice la verità: è il gioco terribile e grande che dovrebbe appartenere alla scrittura come rito vivo”. Quando scrive lei ha mai paura?

“Noi mettiamo in correlazione il coraggio con la paura, questo perché l’avere coraggio significa l’andare avanti, mentre la paura è intesa quale freno, quale blocco, se non motivo per cui si indietreggia. Sempre più dobbiamo renderci conto che non siamo noi ad appartenere alla paura, ma è la paura che ci appartiene. Difficilmente, in vita mia, mi sono fatto condizionare dalla paura, anzi, la stessa mi ha regalato forza per continuare, perché esiste qualcosa di più grande in noi, e quel qualcosa si chiama consapevolezza. Quando si ha consapevolezza di sé, alla paura resta poco campo d’azione, e questo vale anche in tutto ciò checopertina libro 2 definiamo espressione”.

La prima parte del libro ‘Il fiume di betulle (il calore del sacrificio)’ è introdotta dal racconto che lei fa della pellicola ‘L’infanzia di Ivan’ del ‘regista-poeta’ Andrej Tarkovskij che tratta di guerra e racconta il dramma di un bambino rimasto solo e trasformato – uso le sue parole – in un ‘mostro vendicativo’. Chi è l’Avversario da combattere di questi tempi?

“La perdita continua di fede, quindi di sacralità. Senza sacralità non avremmo più passato e quindi più futuro. Se si cancella il credere in un qualcosa di superiore, di assoluto, si uccide la vita, riducendola a un mero piano orizzontale, mentre, quali uomini, siamo chiamati alla verticalità, all’elevazione, a mitizzare il nostro essere e il nostro fare, sia che si ricopra chissà quale alta posizione sociale, sia che si viva da semplici ortolani. Se si perde la dimensione liturgica che ogni gesto in sé contiene, e la carica eversiva che ogni parola possiede, non si è e non si diviene”.

“L’esistenza vissuta ha bisogno di consapevolezza più che di esattezza. Perché / l’esistenza vissuta è mito, / e unica leggenda. / Ecco il perché…io non credo ai poeti.” Così, appunto, a pag.71. In cosa ripone la sua ‘fede’?

“Nel sapere occidentale, che molto ha ancora da dare, e nella vita vissuta in prima persona, non in quella delegata. Oggi i più delegano altri a vivere per loro perché, come si è detto, il terrore attanaglia. Necessita copertina libro 1che disimpariamo la paura e, come un tempo si diceva, che si ritorni padroni del proprio destino, padroni di se stessi”.

Nel suo più recente ‘libro da bruciare’ intitolato ‘Lunga vita al Genius Loci’ ci guida nell’intricato labirinto delle dinamiche contemporanee. Vorrebbe spiegarci, in estrema sintesi, di cosa tratta?

“Di un’analisi al rasoio di ciò che ci sta rendendo schiavi, di ciò che ci sta proiettando in una società sempre più decadente e sottoposta alle leggi del denaro. Di un tentativo di riscatto. Di un’ultima possibilità. Di una difesa e di una offesa, a chi offesa si merita”.

Lei è pittore, poeta, teorico d’arte, narratore, performer, intellettuale a tutto campo. Qual è una domanda che racchiude tutte queste anime, che non le hanno ancora mai rivolto e a cui vorrebbe rispondere? La domanda e naturalmente la risposta.

“Questa la domanda: Quando si inizia a vivere? E questa la risposta: Quando si dà un valore alla morte.”

 

 

 

 

 

 

 

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Silvia Castellani
nata a Rimini nel 1978. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Bologna. E' tecnico addetto alla gestione e al marketing delle infrastrutture del loisir (teatri, musei, parchi tematici) avendo frequentato la Scuola del Loisir. Giornalista pubblicista, si occupa di giornalismo culturale e fotografia, anche tramite l'ideazione e la cura di rubriche e progetti di parole e immagini, su riviste e portali culturali. Suoi articoli e fotografie sono presenti su IlGiornaleOFF, Critica Impura, Farapoesia, Satisfiction, Zonadidisagio. Suo il progetto fotografico Rosarium (rose e misteri). www.silviacastellani.it