«L’arpa è uno degli strumenti più antichi, è nata con l’uomo. Non ha il problema di sopravvivere, non credo scomparirà mai, ma occorre capire come renderla più vicina a quello che le persone ascoltano oggi». A parlare è Floraleda Sacchi, che fa diventare l’arpa moderna con “#Darklight”, uscito lo scorso maggio a distanza di due anni da “Intimamente tango”. «È un disco diverso dai precedenti» dice la raffinata musicista di Como. «Ho sempre lavorato tanto sulla musica contemporanea, ma in questo album per la prima volta faccio uso dell’elettronica. Ho iniziato a sperimentare un paio di anni fa, poi lo scorso autunno mi sono decisa: ho fatto una cernita dei brani scegliendo autori molto diversi». Nei 14 pezzi che compongono la tracklist troviamo colonne sonore cinematografiche, successi dance e brani composti dalla stessa Floraleda, che rimandano, come lei dice, «a luoghi di viaggio, sia fisici che della mente». Mondi convenzionalmente considerati lontani e inconciliabili come uno strumento acustico millenario e l’elettronica si sposano grazie ad un lavoro artigianale. «Ho voluto mettere insieme i contrasti a partire dal titolo, che accosta la luce e il buio. Ma il buio non deve far pensare ad un disco noir, piuttosto intimista» precisa. Riconosciuta come una delle più interessanti arpiste della scena internazionale, con alle spalle più di venti dischi con le principali major, Floraleda ha scoperto l’arpa per caso: «Da bambina, sentendo un disco, mi sono innamorata del suo suono. Non sapevo neanche che forma avesse». «Sicuramente – aggiunge – l’arpa è difficile da suonare, ma penso che padroneggiare e conoscere a fondo le possibilità di uno strumento sia sempre complesso». D’altronde per lei la musica è una: «Io ascolto di tutto, dalla tradizione al pop, non mi piacciono le classificazioni di generi; non bisogna avere preclusioni o mettere paletti, si deve promuovere la musica nella sua interezza». Curiosa e vivace, la Sacchi, che ha collezionato una lunga sfilza di riconoscimenti, ha composto musica per il cinema e il teatro e si è esibita in mezzo mondo: «Amo suonare in tutti quei luoghi con una loro storia ed una bella atmosfera. All’estero preferisco il Giappone, il Canada e gli Stati Uniti, dove hanno meno reticenze e puoi sperimentare con grande libertà, e alcuni stati sudamericani come il Brasile e l’Uruguay, in cui si avverte fortemente il calore del pubblico».