I racconti in stile beat di Davide Van de Sfroos

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21525_davide-van-de-sfroosTalvolta le canzoni sono limitanti per chi racconta storie: in tre o quattro minuti non riescono a contenere tutta la complessità e la ricchezza di situazioni e personaggi. È questa volontà di non essere prigionieri del tempo, nonché di un solo linguaggio, che ha spinto una bella fetta di big della nostra musica, da Guccini a Ligabue, a fare il grande salto nell’editoria.
Di questo esercito di cantautori-scrittori fa parte anche Davide Van de Sfroos, anche se accomunarlo agli altri è sbagliato. Il suo è un caso a parte perché ricerca musicale e letteraria in lui hanno proceduto sempre di pari passo. «Perché sali sul palco?» gli chiese quello che sarebbe diventato il suo agente letterario al loro primo9788845234231_0_0_267_80 incontro, subito dopo un suo concerto. «Perché nessuno mi fa scrivere libri» la risposta di Van de Sfroos. Di libri, poi, (dopo l’esordio con un volumetto di poesie e il poema “Capitan Slaff”) ne ha scritti due: “Le parole sognate dai pesci” e “Il mio nome è Herbert Fanucci”, entrambi editi da Bompiani. E con il suo passaggio a La nave di Teseo, che lo conduce nel mondo degli intellettuali a tempo pieno, arriverà il terzo. «Sono sempre stato uno scrittore occasionale, in stile beat generation, con taccuini dove tutto era flusso e poi si trasformava in qualcosa di più lineare» dice il contastorie di Monza partito dal teatro canzone. Come con le sue canzoni, anche su carta fotografa un mondo reale: c’è chi ha cercato fortuna in America, chi ha combattuto guerre nascosto in una cantina, chi ha mille segreti nella mente e un grosso peso sul cuore. Le sue sono storie bizzarre ma vere, di cui fiuta la forza narrativa e arricchisce di particolari come un maestro della scrittura. E la musica, in questi casi, ce la mette il lettore.