Luca Seta, tra la musica e il palco, a cercare la meraviglia nel cielo

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Luca Seta_foto di Gianluca Saragò_bLo conosciamo come attore, per i tanti ruoli che in questi anni ha interpretato sul piccolo e grande schermo. «Ma adesso la mia priorità è la musica» dice Luca Seta. Non si tratta di una scoperta recente: il suo è un percorso cominciato da adolescente, coronato nel 2013 dall’album d’esordio “In viaggio con Kerouac”, undici canzoni tra pop, jazz, folk, reggae e ska. Percorso che prosegue con “Cuccioli di Gnu”, il singolo in rotazione radiofonica dal 26 maggio, scritto da Luca insieme a Gabriele Buonasorte.

Come nasce questo brano e di cosa parla?

Come tutti i miei brani non ha un’origine razionale, l’ho scritto di getto. Molte persone ascoltandolo hanno pensato che fosse dedicato ai bambini, in realtà i cuccioli di gnu siamo tutti noi che, proprio come i cuccioli, almeno una volta nella vita siamo rimasti col muso in su a cercare una risposta alle nostre domande. Ma l’unica risposta è che il cielo è grande. E se prima questa enormità mi dava un senso di oppressione, adesso la vedo come una possibilità, con un senso di meraviglia.

Dal 31 maggio, con debutto a Roma, porterai questa e le altre tue canzoni in tour. Come vivi la dimensione dal vivo?

E’ l’unica cosa per cui vale la pena di fare questo mestiere. Il concerto è una goduria, la parte più bella. Ho poi la fortuna di avere dei musicisti fortissimi. Mi diverto, interagisco col pubblico e l’energia che si crea è una meraviglia.

Il fatto di essere attore ti ha agevolato?

Sicuramente in ogni cosa che facciamo ci portiamo dietro il nostro vissuto. Il fatto di avere già calcato dei palcoscenici in qualche modo mi ha aiutato e mi aiuta, anche se si tratta di esperienze diverse.

La passione per la musica nasce prima di quello per la recitazione: è così?

Ottima domanda! A dire il vero non ci ho mai pensato. In effetti ho cominciato prima a suonare e poi a fare l’attore. Suono da quando ho quattordici anni. Da ragazzino rubavo le cassette di De Andrè a mia madre, che ho consumato insieme a quelle di De Gregori e Guccini. Verso i quindici anni ho chiesto ai miei di regalarmi una chitarra, che ho ancora. Scrivo da quando ho undici anni, ma ho iniziato a scrivere tardi canzoni, verso i ventotto. Quando arriva un’idea prendo la penna e scrivo, senza distinguere se sono canzoni o poesie. Pensiero e azione sono contemporanei.

Perché in effetti scrivi anche poesie.

Sì. Qualcuna l’ho letta durante i live, e ne leggerò altre. Sicuramente una ci sarà anche nei prossimi concerti, verso la metà della scaletta. Sto anche scrivendo un libro.

Una raccolta di poesie?

No, è un diario di un vagabondo. Sono appunti di viaggio, di quando sono stato in Brasile o semplicemente quando sono dai miei. Il viaggio è inteso come diario non proprio quotidiano, visto che non scrivo tutti i giorni, ma metto insieme schizzi, pensieri, appunti su quello che vedo.

Eppure avresti dovuto fare il dentista, hai studiato per tre anni odontoiatria…

Secondo mio padre si, secondo me no. Ci abbiamo provato ma non era decisamente la mia strada. Dopo un po’ l’ha capito anche mio padre ed oggi è contento del mio percorso.

Sei nato a Borgosesia, in provincia di Vercelli. Che bambino e adolescente sei stato?

Ho la fortuna di avere una famiglia splendida, quindi ho avuto un’infanzia meravigliosa. Da adolescente come tutti a volte ero tragico, molto sportivo, giocavo a calcio. Ho un rapporto splendido con mia sorella, con cui uscivo. Avevamo una compagnia molto numerosa, con più di venti persone, cosa che si ritrova facilmente in un paese o in una piccola cittadina, molto più difficilmente in città. Poi non so se c’entra il fatto che sia dei gemelli, ma spesso di notte scrivevo cose drammaticissime o profonde.

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Al cinema ed in tv hai vestito i panni di personaggi complessi. In “Infernet” sei stato un ragazzo omosessuale, picchiato da una baby gang, mentre in “Un posto al sole” eri lo psicopatico Simone. Come ti sei approcciato a questi ruoli?

In “Un posto al sole” il mio personaggio impazzisce dopo una grossa delusione d’amore. Ho immaginato che il suo cambiamento dipendesse da un esaurimento nervoso e poiché in questi casi o si ingrassa o si dimagrisce ho fatto un lavoro molto fisico. Ho optato per la magrezza, ho perso quindici chili, perché il viso spigoloso e gli occhi fuori dalle orbite mi hanno aiutato. Ma all’attore non basta il lavoro fisico, deve indagare i colori. Non credo molto sul recitare altro da sé, piuttosto penso che noi siamo una tavolozza e dobbiamo ricercare quei colori che abbiamo più sviluppati. Attimi di follia, anche solo strillando nel traffico, li abbiamo avuti tutti. E magari se vai a lavorare su questo trovi il pazzo che c’è in te. Senza dover andare in analisi, chiaramente (ride, ndr). Per “Infernet” invece, dovendo recitare un omosessuale, il lavoro è partito dagli occhi. Ho provato ad ammorbidire lo sguardo ed a cercare la femminilità che è in ognuno di noi, anche nell’uomo più macho.

Ti va di raccontarci un episodio off relativo ai tuoi esordi?

Mi viene in mente un episodio relativo ad un “Romeo e Giulietta” che interpretavamo in tre a Verona. Io ero Romeo ed insieme a Giulietta c’era un Mercuzio narratore. Era un servizio offerto dal comune ai turisti e facevamo tre spettacoli al giorno. Una volta alle undici di mattina sono arrivati tre olandesi sbronzi mentre noi eravamo era in scena. Ci siamo trovati ad urlare le battute in faccia per doverli mandare via perché erano abbastanza molesti.

Oltre alla musica ci sono progetti cinematografici o televisivi all’orizzonte?

C’è qualcosa in ballo ma non ho ancora firmato il contratto. Quindi non te lo posso dire!