L’avevamo visto lo scorso anno a Bologna Artefiera nello stand della galleria Robilant + Voena, con quella sua figurazione enigmatica fatta di inserti di anatomie meccaniche a metà strada fra l’immaginario dell’osceno di Georges Bataille e le suggestioni cyberpunk di J. C. Ballard e Philip Dick, il tutto in una prospettiva che in senso stretto possiamo annoverare nel Pop di derivazione inglese -quindi molto “criticism” e pochi riferimenti all’oggettistica mainstream.
Stiamo parlando di Sergio Sarri (Torino, 1938, vive e lavora a Calice Ligure), collocabile in quell’area della Pop Art del Nord Italia distinta e distante dalla sezione romana e che infatti espatria verso scenari come si è detto soprattutto inglesi.
Dopo Bologna lo ritroviamo oggi a Milano, sempre da Robilant + Voena, con l’antologica “Sergio Sarri. Opere 1967- 2017” a cura di Walter Guadagnini, trenta tele di medio e grande formato, dai tardi Sessanta a oggi, per uno sguardo ragionato su una produzione d’arte che ci fa immergere in un universo intriso di riferimenti che spaziano dalle arti visive alla letteratura al cinema e che nel corso degli anni è rimasta fedele a se stessa riflettendo i cambiamenti progressivi della società: a Sarri non interessa né il mondo né l’uomo presi singolarmente, quanto piuttosto la “condition humaine” di quella che per altre vie nella Milano del boom economico Leonardo Sinisgalli aveva definito la “civiltà delle macchine” .
Poi pensi ai film di David Cronenberg“EXistenZ” e “Crash”, ma sai che Sergio Sarri ci è arrivato vent’anni prima: la natura s’è fatta cultura e il rapporto dell’uomo col mondo esterno ha preso la forma di una relazione con tutta una serie di etiche esistenziali che sono la conseguenza stessa dell’invenzione umana della tecnica e delle sue applicazioni (leggi: tecnologia). L’umano s’è fatto postumano, ma prima che si iniziasse a parlare di estetica cyberpunk -gli artisti han la vista lunga.
L’immaginario di Sarri è perturbante e per questo affascina, Luca Beatrice l’ha definito “un cane sciolto” e a ragione: sarebbe un’iperbole dire che in Italia è un caso unico? Ai visitatori della mostra milanese l’ardua sentenza, noi intanto vi diciamo che dovete andarci per due ragioni: per ri-scoprire (o scoprire tout court ) un artista “liminale” nel panorama italiano e per tenersi aggiornati su quel che ci siamo persi nel corso degli ultimi anni (vale per la nuova generazione critica, studenti del corso di laurea magistrale in “Arti, patrimoni e mercati” dello IULM accorrete numerosi).