A Milano SPAZIO 22 – FL GALLERY – Galleria PACK, che ospita la galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea di Palermo secondo il consueto scambio culturale che caratterizza questa bella realtà espositiva milanese, abbiamo incontrato Ignazio Mortellaro, in occasione della sua mostra (“Scalza varcando da sabbie lunari” / “Barefoot stepping from lunar sands” a cura di Valentina Bruschi) negli spazi della (anzi, delle) due gallerie milanesi, che presentano altresì la personale di Gregory Bae (“45° 28’ 0’’ N, 9° 11’ 0’’ E”, prima assoluta in Italia a cura di Rossella Farinotti da Federico Luger) e quella di Corrado Zeni (“ICONS” da Galleria Pack), con in più una mostra di sole carte al piano superiore di Spazio 22 con opere di Adalberto Abbate, Mattia Barbieri, Alessandro Bazan, Thomas Berra, Alighiero Boetti, Danilo Buccella, Gabriele Di Matteo,Igor Eskinja, Franklin Evans, Pino Pascali, Luigi Serafini, Cy Twombly fra gli altri.
Con Ignazio Mortellaro espandiamo i confini dell’arte all’antropologia, la filosofia e l’astronomia e la matematica e aspettatevi una mostra molto empatica che affascina. “Scalza varcando da sabbie lunari” è una cosmogonia, la versione visuale di un De Caelo aristotelico o la rivisitazione apocrifa dei dialoghi di Platone in cui l’amico dei filosofi ci parlava nientemeno che di Atlantide.
Ma queste sono suggestioni inevitabilmente votate all’inclinazione soggettiva. Per questo OFF ha fatto due chiacchiere con Ignazio Mortellaro.
Caro Ignazio, due parole sulla tua mostra milanese, a partire dal titolo…
Il titolo svela la struttura metrica della mostra, è il primo verso della poesia “Eco”, tratta dalla raccolta “Sentimento del Tempo”, di Giuseppe Ungaretti. Mi permetto di leggerla, sia perché visivamente aiuta a comprendere la geometria compositiva delle opere, sia perché trovo che la poesia sia lo strumento di espressione privilegiato capace di armonizzare razionale e irrazionale, finito e infinito, animato e inanimato:
Eco/Scalza varcando da sabbie lunari/Aurora, amore festoso, d’un’eco/Popoli l’esule universo e lasci/Nella carne dei giorni/Perenne scia, una piaga velata.
Ho visto la tua mostra due volte e mi hanno spiegato che i cerchi concentrici scolpiti sulle lastre sono in realtà il risultato di una specie di formula matematica: di cosa si tratta?
Vedendo la mostra ti sarai accorto dei continui duali rimandi tra le opere, una sorta di forza nascosta che da un’opera ti rimbalza su un’altra. Ecco che questo motivo si fa passo, e quello che sembra una serie logica matematica in realtà non è altro che un movimento oscillatorio attorno ad un equilibrio instabile. In fondo quei cerchi concentrici che vedi incisi sulle lastre hanno lo stesso passo dei numeri incisi nelle due piccole lastre di fronte, sembra una serie logica, come la serie di Fibonacci giusto per citarne una che tutti conoscono, una di quelle serie che possono essere sintetizzate da una formula più o meno semplice che permette di dedurne qualsiasi numero; in realtà è invece un gioco, studiato in collaborazione con un matematico, in cui la sequenza è generata dalla lettura stessa dei numeri, l’impossibilità di sintesi sposta quindi il problema sul processo, il numero si fa parola, voce, suono, narrazione.
Nel tuo lavoro la presenza umana pare solo evocata. E intanto appena scoperto che forse non siamo per niente soli nell’universo: pensi che il tuo lavoro d’arte potrebbe cambiare alla luce di questa scoperta?
Penso che il problema dell’identità sia in realtà un falso problema. L’uomo mi interessa solo come una delle singolari combinazioni spirituali che la materia può assumere, quella a cui al momento appartengo. La nostra natura è unica e molteplice allo stesso tempo, per questo ogni giorno, non solo nel lavoro d’arte, ma anche nel mio modo di vita cerco di trovare il molteplice nell’uno e l’uno nel molteplice. Come diceva Antonin Artaud nel suo “Eliogabalo”, «aver il senso dell’unità profonda delle cose, è aver il senso dell’anarchia, e dello sforzo da compiere per ridurre le cose riducendole alla unità. Chi ha il senso dell’unità ha il senso della molteplicità delle cose, di quella polvere d’aspetti attraverso cui occorre passare per ridurle e distruggerle».
Secondo te un artista può essere anche un intellettuale? (io ti dico la mia: no)
E io ti dico la mia: sì. Anzi, aggiungo che deve esserlo se non vuole ridursi al solo sentimento, all’esperienza e al gusto estetico. L’artista non può che vivere di complessità, e questa si nutre di opposti, di paradossi, di contraddizioni.
Qual è il tuo rapporto con la musica? (raccolgo una tua dichiarazione: «Adoro le basse frequenze della techno ed i suoi ritmi ossessivi perché nascondono qualcosa di atavico, un contatto col suolo e simultaneamente una proiezione nella profondità dello spazio. All’interno di un club è come se il tuo corpo si trasformasse in una cassa di risonanza, un processo di svuotamento e di vibrazione, dove il suono ed il pensiero generati e fatti materia convergono avvolgendo tutto ciò che ci circonda»)
Come si intuisce da questa mia dichiarazione, è un rapporto profondo, fisicamente e concettualmente profondo. Ho la fortuna di confrontarmi spesso con musicisti provenienti da ogni parte del mondo e questo amplia il mio sentimento del suono, ne altera continuamente i confini. Come ricorderai, durante l’inaugurazione della mostra abbiamo assistito alla performance audio di “Roots in Heaven”, ho utilizzato il suono per manipolare lo spazio finito di una caverna sotterranea, per ribaltarlo, generando un’implosione, dimostrando che lo spazio interno è ben più grande di quello esterno, l’intero universo può essere risucchiato in un pozzo o buco, raggiungere una densità infinita. Mi viene in mente la scena della torre nel film “L’Enigma di Kaspar Hauser” di Werner Herzog in cui il protagonista affrontava, sovvertendolo, il problema dello spazio: «…dentro la torre c’è più spazio che fuori, perché da fuori se mi guardo intorno non vedo più la torre, mentre quando ero nella torre (in prigione) ovunque guardavo c’era la torre, e dunque c’è più spazio dentro che fuori la torre.»
Quanto conta l’oggetto libro nel tuo lavoro d’arte? Se io fossi un collezionista, che parte di te acquisirei se la mia scelta cadesse su un libro?
Probabilmente sarebbe molto simile a questa intervista; nei miei libri d’artista ci sono tante domande, qualche risposta e molti frammenti, insomma tutto ciò che puoi incontrare quando vieni a trovarmi in studio.
Qual è stato il tuo primo incontro con l’arte? E quando hai deciso, fra musica e arti visive, che quella poteva essere la tua strada?
Non c’è stato un “primo incontro”, così come non penso esista un colpo di fulmine in una storia d’amore. E’ una vita che mi faccio domande, che amo e studio l’arte, che osservo il mondo con curiosità. Ho un passato da ingegnere e poi da architetto, ora lavoro come artista, ma se parliamo di strada, quella che percorro ogni giorno è da uomo, magari domani farò un altro mestiere ma le domande non cambieranno, i miei occhi e le mie mani saranno le stesse.
Segui il mercato dell’arte?
Solo il tardo pomeriggio, quando sono stanco e non riesco più a lavorare. Spero che un giorno le cose si ribaltino e il mercato dell’arte segua me, magari tutto il giorno!
Chi merita un tuo lavoro?
Chi lo desidera.
Tutti vogliono andare a Berlino o a Milano o a Londra o New York, tu hai girato un po’ per l’Europa ma vivi a Palermo: perché?
Penso semplicemente che sia un luogo adatto alla mia ricerca. Italo Calvino diceva che i problemi si possono risolvere soltanto indagando la loro periferia. Poi la Sicilia è un piccolo continente al centro del Mediterraneo e Palermo non è altro che la sua multiculturale capitale; le città che tu elenchi, per quanto grandi e complesse possano essere, rimangono delle città, sistemi architettonici fatti da uomini per altri uomini, non c’è spazio per molto altro, le stelle si vedono a malapena, gli altri animali sono costretti al guinzaglio, è difficile trovare della terra. La mia città offre ancora uno spettro di possibilità che mi fa sentire libero, è radicata ad un territorio, è georeferenziata.
Dove ti rivedremo?
Trovandomi su di un’isola viaggio spesso, ci vedremo nuovamente a Milano, che è la città che amo, durante il Miart e probabilmente a Venezia per la Biennale.