Nudo e lattice: il corpo è ingannevole distorsione

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death-of-a-party-stampa-3d-da-originale-negativo-bn-su-pellicola-lith-visore-3d-2015Lo abbiamo visto lo scorso mese in occasione della sua personale nella galleria milanese Area 35 con Unrest,  titolo che era tutto un programma: fotografia, installazione e video.

Tema dominante nella produzione d’arte d.o.c. di Giacomo Vanetti è il corpo, raccontato come  indice di movimento, distorto, nascosto, scoperto, reiterato in maniera identica a sé e/o ingannevole, in un’atmosfera di malessere, angoscia, desolazione e inquietudine, prevalentemente femminile, proprietario assente della sua stessa corporeità, presente in maniera massiva o del tutto assente, spaventevole, onirico, perturbante; nudo, con indosso una maschera in lattice, che ci inganna a seconda del modo in cui lo guardiamo.

E’ il caso dell’opera Two rights make one wrong, sovrapposizione di due negativi che danno l’illusione di percepire tre immagini (e forse sta proprio in questo il senso del titolo: i due negativi rights fanno un immagine falsa, che non esiste wrong. Chiaro, no?).

Ma dominante è, concettualmente e visivamente, il “difetto”, la “distorsione”, il “rumore di fondo” dell’immagine che non si dà mai nella sua costitutività: errore fortemente, con le foto stampate su vecchia carta scaduta, Polaroid che enfatizzano il difetto della pellicola, perché la distorsione dell’immagine serve a nasconderne la bellezza, per mettere la giusta distanza fra opera e osservatore che deve quindi fare lo sforzo  di interessarsi, heideggerianamente inter esse, stare in mezzo, “entrare” nell’immagine.

Non mi stancherò mai di dirlo, l’opera d’arte, almeno quella che aspira ad esser tale, non è mai un segno ma un simbolo: non è un cartello stradale che c’impedisce di sbagliare, ma permette l’indeterminatezza dell’interpretazione, perché essenzialmente evoca, suggerisce, mette in movimento le rotelle di chi non ha ancora mandato all’ammasso il proprio cervello.

Siamo andati a trovare Giacomo Vanetti nel suo buen retiro varesino, dove produce lontano dai clangorideath-of-a-party-lightbox-da-originale-diapositiva-colori-dim-50x60-cm-2015 del mondo (per poi mostrare al mondo il suo lavoro).

Come scegli i tuoi soggetti?

Non lavoro con professionisti e quindi mi avvalgo di collaborazioni di amici e persone che seguono il mio lavoro. Collaboratori con cui riesco a condividere i miei progetti e le mie aspettative e che ritengo siano idonei a tale scopo.

Segui il mercato dell’arte?

Non troppo. Guardo i prezzi alle fiere, più che altro per curiosità.

Nella tua mostra c’era la serie intitolata “Death of a party”, qual è il tuo rapporto con la Nera Signora?

Difficile dare una risposta così, su due piedi. Il titolo della serie si riferisce più a una situazione, un momento reso dalla presunta distanza tra le parole Morte e Festa. Una situazione di Limbo in cui mi trovo. Poi non so, a volte la morte mi fa paura, a volte invece mi sembra solo una giusta fine.

Ha a che fare con il corpo o lo trascende? Mi chiedo se la tua sia una fotografia solo corporea….

Il corpo è il soggetto ma non l’unico protagonista. Provo a rappresentare una mia umanità, credo spesso condivisa, attraverso la manipolazione di immagini in cui il corpo mutevole e simbolico rappresenta uno stato d’animo, un sentimento.

Una domanda scanzonata: una ragione per preferire i tuoi teschi al teschio di Damien Hirst (che tanto è già andato via) 

Cosa posso dirti? A me piace di più il mio teschio ma, come ben sai, i gusti sono personali.

Chi sono i tuoi compagni di viaggio?

Le mie cattive abitudini.

Ti conosco dal 2008, che è l’anno in cui hai messo piede in questo pazzo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo dell’arte: cosa è cambiato nella tua testa?

an-aborted-beginning-stampa-digitale-da-origina-polaroid-dim-45x60-2014Forse poco. Mi sento ancora ai margini di questo pazzo pazzo, quanti erano?, mondo dell’arte. Io continuo a fare il mio lavoro. Mi è cambiata la vita? No. Forse sono un po’ più consapevole di quello che mi sta attorno e questo mi aiuta ad essere più sereno.

L’immagine, nelle tue foto, è sempre distorta: credi che ci sia anche qualcosa che possiamo vedere noi e tu no?

Che possiate vedere voi e io no, ci sta. Spero almeno si veda quello che vedo io e che sopratutto si comprenda.

Pensi che sia “faticoso” capire le tue foto?

Non credo sia faticoso, ma non può esserci un approccio superficiale. Mi piace che lo sguardo alle mie opere sia approfondito e quindi anche la loro realizzazione, spesso complessa, concorre a una fruizione più attenta. Ci vuole tempo per guardare, non so quanto. Credo che la cosa sia soggettiva, ma comunque non si possono guardare i miei lavori distrattamente sperando di comprenderli.