La Lombardia è ai vertici in molti settori dell’economia e della produzione, perfino nell’agricoltura. Non sorprende che lo sia anche nella cultura. Nello specifico – è bene ricordarlo – è la prima regione in Italia per valore aggiunto del sistema produttivo culturale (23,5 miliardi di euro, il 26% del totale, stacca il Lazio secondo in classifica di 10 miliardi); è la prima regione per occupazione legata alla filiera culturale (350 mila occupati, 23% sul totale italiano, staccando di 150mila occupati il Lazio); è la prima regione in Italia per spesa attivata ogni anno dall’industria culturale (3miliardi e 900mila euro); è la prima regione per numero di imprese culturali (80 mila, 20,9% del totale); la provincia di Milano è al primo posto tra le province italiane sia per valore aggiunto (14,6 miliardi di euro) che per numero di occupati (189 mila) davanti a Roma.
Ma tre le prime 20 province per incidenza del settore sul totale economia locale, 7 sono in Lombardia. Milano, Monza e Brianza, Como, Lecco, Varese, Cremona e Bergamo; la Lombardia, come numero di occupati nel settore culturale e creativo, è terza in Europa dopo la regione di Parigi e di Londra, in particolare eccelle nei settori del design (1° posto), dell’editoria (2° posto), delle creazioni artistiche e letteratura (4° posto) e della pubblicità (4° posto); il binomio cultura e turismo in Lombardia incide per il 47% della spesa turistica, per un totale di 3,8 miliardi di euro, seguono il Veneto con 3,6 miliardi e il Lazio con 3,5 miliardi; è la prima regione che ha contribuito all’art bonus (100 milioni di euro, secondo il Piemonte con 22).
Ed è anche, sorprendentemente la prima regione in Italia per numero di siti Unesco, patrimonio dell’umanità, ben 11 su 53. E questo non solo per il prestigio dei beni culturali presenti sul territorio ma per la capacità di fare sistema e presentare i giusti progetti.
Detto questo, il nuovo assessore all’Autonomia e Cultura della Lombardia, Stefano Bruno Galli, professore di storia e solido studioso del federalismo, ha la possibilità di illuminare un modello di gestione della cultura e dei beni culturali straordinario che può e deve fare scuola per il Paese intero. Da qui si può immaginare un nuovo Rinascimento, attraverso una competizione virtuosa di quelle che Cattaneo chiamava “patrie singolari” e che sono il vero motore dell’Italia.