Da Giotto ai videogiochi: dove si nasconde il Diavolo?

“Pape Satàn, pape Satàn aleppe” sono le parole che risuonano nell’inferno dantesco per bocca di Pluto, al sopraggiungere di Dante e Virgilio, che da sempre rappresentano una delle più blasonate e discusse crucis dantesche.

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Ad ogni modo il diavolo, Lucifero o Belzebù che dir si voglia, figura radicata e tuttora massivamente presente nell’immaginario collettivo, è paradossalmente percepita come unità di misura della santità dell’uomo, e dunque alla rovescia, proprio come il cammino purificatore e salvifico di Dante nel suo inferno: da sempre identificato come un capro espiatorio, uno spauracchio o come un semplice e rudimentale spaventapasseri nel quale far convogliare, identificare e riassumere le paure e le irrazionalità riconducibili alla condotta umana scellerata o che semplicemente a tratti si discosta da una comune idea di buonismo dilagante. Quante volte avrete asserito, seppur in merito a qualcuno a cui volete bene: “Sei un diavolo!”, tralasciando il significato intrinseco dell’appellativo da voi usato? Ma è proprio questa stessa irrazionale leggerezza di fondo a cui è possibile riferire la dimensione del demonio nell’arte: l’impeto, la gestualità del tratto pittorico, l’arrendevolezza della ragione in favore della follia che è tormento, senza fatica si ritrovano nell’opera del 1947 di Jackson Pollock, Lucifer, che al pari di opere di matrice chiaramente figurativa designa in modo emblematico l’immagine del diavolo, mediante l’uso di un dripping selvaggio, che domina e aggredisce la tela senza lasciarle scampo (quella stessa supremazia mal digerita dalle femministe infuriate), come Lucifero con il suo regno.

demtrioSulla scia di un mood che interseca e mescola leggerezza e pesantezza, nasce l’ultima opera del critico, curatore e saggista Demetrio Paparoni (siracusano, ormai milanese), The Devil. Atlante illustrato del lato oscuro. Da Giotto a Picasso, da Pollock a Serrano, dai tarocchi ai videogiochi, edito da 24 Ore Cultura (che ha già esordito a Milano lo scorso febbraio, accompagnato da una performance di Saturnino): il volume si apre con una serie di immagini impattanti e suggestive, al Pollock sopracitato fanno compagnia I dannati dell’Inferno di Signorelli e la Leggenda di San Michele del Maestro di Arguis, immagini poste in maniera speculare a sottolineare l’ingombrante, ridondante e inevitabile presenza del diavolo. Si continua con il Sabba delle streghe di Goya, coetaneo rispetto al più famoso dipinto Saturno che divora i suoi figli, riferimento inevitabile agli anni più tetri per l’artista, che scurirono i suoi colori ormai ben lontani dalle tinte pastello degli ombrellini parasole, e ancora con il padre della prospettiva empirica, Giotto e la sua La cacciata dei diavoli da Arezzo, opera dirompente nel suo raffigurare il volo del demonio finalmente sconsolato, forse per la prima volta debole e vulnerabile; ma l’ego del demonio si rinsalda, un demonio che diviene a tratti simpatico, quasi affabile, a cui ridono gli occhi per il potere di un ruolo che genera empatia: è il diavolo di Katsushika Hokusai, della serie Hyaku monogatari (Cento racconti di fantasmi), stemperato e mitigato dal suo stesso faccione espressivo, o che diviene presenza rarefatta e obnubilata in Piss Satan (Immersions) di Andres Serrano, il diavolo ride ancora, stavolta beffardo a crepapelle, nei sorrisi sguaiati e reiterati di Between Men andSaturno-che-divora-i-suoi-figli-Saturno-devorando-a-su-hijo-Saturn-Devouring-His-Son Animals di Yue Minjun, rassomiglianti e sovrapponibili a quelli di uomini bestiali; Belzebù è il tormento pervinca, giovanile e forse ingenuo dei suoi occhi nel film Imponderable di Tony Oursler, nei quali si scorge un velo di fragile umanità.

La sua scanzonata leggerezza, leggiadra ebrezza che avvolge l’uomo nella sua aura dionisiaca, è talvolta perfino patinata, come fu con la collezione primavera-estate del 2012 di Gareth Pugh: un diavolo glam rock intrappolato a dovere nel suo latex nero sfreccia su scarpe-scultura col tacco oltre i 12, che tutto può e niente teme con la schiena protetta da geometrie sicure; alle sue spalle le fiamme, ormai solo mera cornice a fronte di una figura ben più impattante e spigliata. Tentatore per antonomasia, il diavolo è donna, tentatrice dalla notte dei tempi, nella persona di un’Anita Ekberg di il-sabba-delle-stregherosso vestita, o di Kay Johnson nel film Madame Satan di Cecil B. DeMille, un diavolo ben educato e oltremodo sensuale, sfacciato, un diavolo superstar, come nelle foto surreali e squisitamente kitsch di Pierre et Gilles. Ma l’arte, si sa, non sempre può trasfigurare la realtà: è il caso di una montagna di fiamme color rosso aragosta nelle quali idealmente bruciare e tentare di esorcizzare una paura dilagante, vera piaga d’Egitto di quegli anni: nella sua opera Senza titolo del 1985, Keith Haring racconta il caos che segue l’avvento dell’AIDS, la discriminazione e la disinformazione che regnano indisturbate sotto il nero di un cielo cosmico. Attraversando i dettami di letteratura e religione, dalla poetica dantesca al rigore buddhista o all’avvincente racconto di Milton della perdizione, Demetrio Paparoni traccia con eleganza una linea temporale al contempo atemporale, figlia di un’acuta e accurata analisi che ci conduce ai tempi odierni, trascinandoci in un’indagine esistenziale capace di scandagliare nel profondo l’accezione diabolica dell’uomo e della società contemporanea.