Gennaro Nunziante: “con Luca proviamo a percepire il mood di questo paese”

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Nato nel quartiere Libertà di Bari, Gennaro Nunziante, pur essendo divenuto oggi il regista italiano dagli incassi d’oro (ha superato i 65 milioni di euro con Quo vado?)per i film con l’amico Luca Medici (in arte Checco Zalone), rimane una persona dai saldi valori, che al successo predilige la condizione di papà, contemplando con acuta intelligenza, dalla normalità della sua vita, il mondo circostante, l’uomo, la società. E proprio nella sua Bari, nella quale ancora vive, ha mosso i primi passi nella satira: ha iniziato da ragazzo, aprendo insieme agli amici il locale di cabaret “La dolce vita”, e in seguito è approdato in TV, prima a Telebari e poi a TeleNorba, come ideatore, autore dei testi, e talvolta regista, dei programmi televisivi del duo comico Toti e Tata. Qualche anno dopo, l’esperienza come sceneggiatore tra professionisti del calibro di Alessandro D’Alatri, Cristina Comencini e Leone Pompucci. C’è anche una sua breve parentesi da attore in Il grande botto di Leone Pompucci e in Casomai di Alessandro D’Alatri, dove interpreta l’esilarante Don Livio, sacerdote alle prese con un’insolita predica ai danni degli sposi Fabio Volo e Stefania Rocca.

Ma il successo arriva senza dubbio con i film di Checco Zalone (Cado dalle nubi, Che bella giornata, Sole a catinelle, Quo vado?), e in particolar modo con l’ ultimo film, già distribuito in Svizzera e venduto a diversi Paesi (Spagna, Portogallo, UK, Germania, Austria, Grecia, Russia, Australia, Nuova Zelanda e Medio Oriente)Distante dai bagliori del mondo dello spettacolo, predilige la semplicità e genuinità di un mondo senza invidia e divisioni, dove c’è spazio solo per la critica costruttiva e il serio impegno lavorativo.

Ci racconti un episodio OFF degli inizi della tua carriera?

Dopo il successo di Cado dalle Nubi mi chiama un produttore, al quale avevo spedito tre anni prima una sceneggiatura e che dopo averla letta mi aveva risposto che non gli interessava, e mi dice, “l’ho riletta e mi piace! Voglio fare il film”. Io gli rispondo: “l’ho riletta anch’io e mi fa davvero schifo”.   

A Bari, dove hai mosso i primi passi nel mondo della satira, oltre ad aprire il locale “La dolce vita”, ideasti anche un giornale…

Si chiamava “Il Davanti” era una presa in giro dell’Avanti dei socialisti che a quel tempo dominavano la scena politica nella mia città. 

Poi l’esperienza in tv a Telebari  con delle telenovelas e a TeleNorba con il successo Teledurazzo…in cosa consisteva?

Teledurazzo era uno show quiz per spiegare agli albanesi che l’Italia non era il paese raccontato dalla nostra televisione.

In seguito sei passato a lavorare con Cristina Comencini, Leone Pompucci e Alessandro D’Alatri. Che ricordo hai dell’esperienza con questi professionisti?

Tutto nasce da un soggetto che s’intitolava “Film Muto” che era capitato nelle loro mani e che aveva suscitato interesse. Il ricordo che ho è legato all’ascolto, cercavo di capire il loro mondo per provare ad aggiungere qualcosa di mio. L’esperienza più importante è stata sicuramente con Alessandro D’Alatri, abbiamo lavorare insieme per tre film. 

 …ma il grande successo è arrivato qualche anno dopo, con i film di Checcho Zalone. Come è nato il primo film insieme ‘Cado dalle nubi’ ?

Ci chiamò Pietro Valsecchi a Cortina e ci propose di fare un film. Entusiasmo alle stelle e la miscela giusta tra noi.

In genere, come nascono le idee per i vostri film?

Le idee vengono dopo mesi di letargo e riflessioni. Proviamo a capire in quale direzione l’uomo cerca la sua via di fuga dalle responsabilità, a percepire il mood di questo paese. 

Il tuo l’ultimo film ‘Quo vado?’ ha letteralmente sbancato i botteghini. Il successo in questi termini spesso può travolgere… Com’è cambiata la tua vita?

A me il successo non travolge, e sinceramente me ne importa poco. La mia vita è sempre la stessa, fatta di valori non negoziabili. Oggi in più c’è sicuramente la condizione di avere un tempo più comodo per fare riflessioni e scelte.  

Il tuo attaccamento ai valori si percepisce anche nelle storie che racconti dove c’è sempre spazio sia per le radici (pugliesi)che per la famiglia. Che importanza hanno nella tua vita?

Le mie radici sono piantate nel quartiere Libertà di Bari, sono nato e cresciuto lì e pur non vivendoci più sento di avere un legame forte con quel luogo.  

Poi, però, nella vita c’è anche l’invidia. C’è stata qualche critica, qualche collega famoso che non ha speso parole benevole sul vostro successo. Cosa ne pensi?

Molte volte sento dire che l’invidia è un fatto normale, io penso sia una condizione umana infelice che spero di non provare mai nella vita. Anche il termine colleghi mi è un po’ sconosciuto, vivendo a Bari frequento solo i genitori dei compagni di scuola dei miei figli, sono loro i miei veri colleghi. 

Alla fine però “voce del popolo, voce di Dio”: è il pubblico il vero sovrano che decreta il successo. Secondo te perché i vostri film (tuoi e di Checco) sono sempre molto apprezzati? In cosa si differenziano dalle solite commedie divertenti?

Forse perché non sono solite, ma lasciamo stare; parlare di cose proprie comporta due rischi, quello di svelare i segreti e quello di passare per presuntuosi.  

Tutti, anche i cosiddetti “intellettuali”, pronti solo a parlare di cinema autoriale e snobbare il resto, sono stati chiamati a esprimere il proprio parere sul vostro film, perché effettivamente i numeri parlavano chiaro…
In generale, c’è ancora un atteggiamento di chiusura nel cinema italiano?

Direi che c’è chiusura in tutto quel comparto che si definisce culturale. È stata attuata una strategia di divisione tra alto e basso, tutta la società è divisa in questo modo, ricchi da una parte e poveri dall’altra, destra e sinistra, nord e sud, anziani e giovani, occupati e disoccupati. Nel campo culturale questa cosa si è accentuata specie sotto i governi di sinistra, un certo vuoto elitarismo ha trovato spazio per imporsi e destinare ai margini della società il popolo. Io sono cresciuto nelle sedi del PCI e nell’oratorio, spazi dove avveniva lo scambio tra alto e basso, in sezione venivano a fare lezione professori universitari, all’oratorio suonavi musica con maestri che t’insegnavano la polifonia. 

Nel cinema, nel mondo dello spettacolo italiano si crea spesso una divisione di tipo politico, e, in generale, sembra si politicizzi un po’ tutto, anche l’arte, la cultura…

Tutto il nostro lavoro è politico, ma non possiamo essere tifosi della nostra parte ma sportivi, spetta a tutti noi il compito di essere anime critiche ma solo e sempre costruttive che di sfasciacarrozze scissionisti ne produciamo parecchi.  

Senza dubbio il messaggio dei tuoi film è sempre ottimistico, il protagonista in qualche modo realizza i suoi sogni. Anche tu hai realizzato il tuo. Ma per realizzare un sogno ci deve essere sempre qualcuno che creda, scommetta in noi

In noi ha creduto Pietro Valsecchi e Camilla Nesbitt, una gratitudine che abbiamo ripagato sempre con il massimo dell’impegno e della responsabilità. Il nostro percorso verso quello che per semplificare definiamo “successo” è stato possibile grazie al lavoro, altri segreti non ce ne sono, si deve lavorare tanto e basta. In sette anni abbiamo realizzato quattro film, tre prime serate per la televisione e un tour di venti date nei palasport.    

Progetti in cantiere?

Il prossimo film con Luca.