Dopo aver tenuto personali a San Paolo del Brasile, Milano, Toronto, Palma di Maiorca, Miami, Barcellona e New York, Maria Luisa Belcastro Schneidersitz è tornata a Roma con la mostra Comédie humaine, inaugurata nella prestigiosa Silber Gallery di Pino Purificato, con presentazione critica di Giorgio Di Genova.
La mostra ha proposto proprio una scelta di opere dei citati cicli del 2010-11 e del 2015, nei quali si evidenzia uno scatto espressivo ed esecutivo di grande coinvolgimento, soprattutto per quanto attiene alle Icone rosse, che costituiscono una sapiente variazione su un tema, che Giorgio Di Genova, dopo aver chiarito che, “essendo ogni opera d’arte altro che un altro da sé in cui l’artista si riflette senza riconoscersi, come è avvenuto al mitico Narciso”, per cui “ogni artista non fa che restituire nelle proprie opere l’autoritratto simbolico-psicologico di se stesso”, nota che anche per Maria Luisa Belcastro Schneidersitz “ogni singola opera va considerata un tassello di questo autoritratto affidato all’altro da sé”, precisando poi: “Così è per questa sorta di Comédie humaine, dipinta intingendo il ‘pennello nei colori della vita’, naturalmente della sua vita. Ma a differenza di Honoré de Balzac, che raccontava la storia di ciascun personaggio protagonista della sua Comédie humaine, ella si limita alla semplice rappresentazione di ciascun personaggio, lasciando alle personali proiezioni dei fruitori di immaginare le storie”.
Ogni opera d’arte non altro che un altro sé in cui l’artista si riflette senza riconoscersi, come è avvenuto al mitico Narciso, per cui “ogni artista non fa che restituire nelle proprie opere l’autoritratto simbolico-psicologico di se stesso”. Come ogni mostra poteva sembrare un PerCorso via orale, un’interminabile giaculatoria sussurrata da un manipolo di catecumeni che leggono per tutta la durata dell’esposizione romanzi della propria crescita culturale, magari qualche libro oltre quello di Balzac, peraltro conosciuto da tutti ma letto da pochi come lo sono di più Alla ricerca del tempo perduto di Proust o l’Ulisse di Joyce, in realtà il giudizio sull’intera esposizione non si può restringere a questa sorta di estremismo verbale, perché l’ artista reinterpreta la storia dell’arte non con una pura operazione di documentazione del nuovo, neutrale, catastale e notarile, ma che corrisponde ad una salda personalità interiore. Una bravissima artista da seguire perché “tutti appartengono – come diceva Picasso – alla pratica di un’arte puntata sul mondo. Dunque non ci si astrae, anzi ci si confronta con il nostro presente per cercare come di superare lo sbarramento di un tempo bloccato”.