«Lo stile è una risposta a tutto. Un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso […] Lo stile è una differenza, un modo di fare, un modo di esser fatto».
Non è un caso che lo spettacolo Haberowski inizi con la poesia “Stile” di Charles Bukowski. Abbiamo voluto rievocare proprio questi tre versi perché, a loro modo, sono i più universali e Alessandro Haber & company hanno dimostrato con stile di poter far rivivere su un palco, in modo originale e personale, quelle parole così carnali e concrete.
Mentre ascoltiamo questo componimento in voice over, sullo schermo scorrono i titoli di testa in cui il gioco di luci sembra voler evocare i fari di un’auto in viaggio nel buio della notte. Traslando il tutto nella scatola magica, il pubblico andrà on the road negli abissi del poeta statunitense – e non solo – grazie al connubio di parole, suoni e video.
L’attore entra dalle quinte di destra (guardando il palco), porta con sé gli occhiali e una busta di plastica di cui solo più avanti scopriremo il contenuto e che sarà un pensiero per la platea di turno. Colpisce l’andatura perché già ci fa intuire lo stato d’animo bukowskiano, che di lì a poco si materializzerà ulteriormente tra bevute alcoliche e sigarette. L’autore aveva realizzato a suo tempo dei reading che viveva, però, come degli incubi tanto che anche prima della performance, per affrontarli, aveva bisogno di bere. Ecco Haber sembra voler richiamare quell’esperienza lì, ma fa anche di più. Certamente la vita dell’attore non è completamente sovrapponibile a quella dell’autore (per fortuna), ma è lui stesso ad avere dichiarato di avere dei punti di contatto. A un tratto si immagina persino che qualche vizio dell’uno si sia confuso con quello dell’altro.
La consapevolezza che si fa sempre più largo in noi è che una voce così spuria, sporca – nel senso più positivo del termine – come quella di Haber può dar corpo perfettamente a quelle parole così crude, realistiche, che non hanno paura di raccontare ciò che si ha dentro così come le brutture umane del quotidiano. L’attore, che ha appena concluso la terza tournée de “Il visitatore” nei panni di Freud, si cala in Bukowski e nel suo vortice di emozioni. Ora spezza i versi così come le parole, ora allunga i suoni, ora sceglie di dire la poesia cantandola – dimenticatevi l’idea stantia di declamazione. Così facendo Haber si fa Bukowski e viceversa, tocca picchi in cui è un flusso continuo di parole e immagini ironiche, provocatorie, disperate, bilanciate con quelle più sussurrate e silenziose.
Ad amplificare come cassa di risonanza il tutto arriva la musica del duo dj Alfa Romero (costituito da Marzio Aricò e Lorenzo Bartoletti), pronta a mixarsi o a lasciare il posto ai flauti del live trumpet Andrea Guzzoletti. Ci sono istanti in cui la musica dub fa proprio palpare quelle situazioni di sesso e droga, si avvertono le vibrazioni sulle pareti della sala e tutto acquista un sapore diverso. I flauti, dal canto loro, spesso ci accompagnano su momenti più malinconici e romantici.
Su questo ensemble di parole e musiche si innesta la video arte di Manuel Bozzi, pronta a ricostruire scene ordinarie, a giocare con i corpi di donna e i dettagli e a dar vita a immagini ottiche. Accanto al leggio, sull’asta del microfono è appeso un reggiseno, ci sono le birre dello scrittore così come la riproduzione di un gatto, senza dimenticare la macchina da scrivere (appesa). Man mano che le poesie si susseguono, i fogli cadono e si posano sulle tavole della Sala Shakespeare dell’Elfo Puccini di Milano.
Un piccolo appunto ci permettiamo di farlo soltanto pensando, a caldo, che, forse, Haberowski andrebbe asciugato in alcuni momenti, rendendo così l’attenzione dello spettatore sempre costantemente viva.
Mentre è su quel palco, il pubblico non può non accorgersi di quanto Alessandro Haber senta il progetto. Insieme a Bozzi ha avuto, infatti, l’idea di riprendere uno spettacolo del 2002, “Bukowski, Confessioni di un genio”, cercando di ridargli una nuova linfa e col desiderio di raggiungere le generazioni che allora non c’erano. Non tutti amano questo autore, è scomodo perché non politicamente corretto e spesso è stato giudicato da molti volgare – ma lo è solo se lo si legge/ascolta superficialmente o con certe idee e pregiudizi. Haberowski è uno spettacolo per chi apprezza già questo autore, ma lo è anche per chi stima Haber che può farsi strumento di avvicinamento verso questa scrittura.
«Siamo tutti destinati a qualcosa» scriveva Bukowski, lui lo era nel mettere nero su bianco con la macchina da scrivere certe emozioni biografiche e dell’humus underground, loro lo sono nel metterlo in scena.