Cosa ci fa Caravaggio tra zucche, cavoli e mestoli?

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La luce è la musa del fotografo. Catturarla, imbrigliarla. Riuscire ad incanalarne i guizzi, sfruttarne le virtù, contribuisce a fare la differenza tra un’opera di qualità e un’impressione disastrosa. La luce, però, è anche compagna del pittore che potendo riprodurla, se ne appropria in un processo che si porrà  sempre tra “grande realismo e una grande irrealtà”, come scriveva Nietzsche.

Chi ne raccoglie la potenza e ne regola nitidamente l’intensità come Edward Hopper, chi la utilizza come strada per l’astrazione, vedi Monet, chi ancora per rendere un momento immortale, cingendolo di una luce capace di creare contrasti nettissimi, di sottolineare l’enfasi, il pathos, la drammaticità, come Caravaggio.

Soggetto, plastico dinamismo e poi la luce. Una fotografia, quella caravaggesca, più che un’opera pittorica composta da strati di colore sovrapposti, di pennellate, di sapiente artigianalità.

Ecco, Renato Marcialis, poliedrico artista, fotografo classe ’56 dalla nutrita esperienza, è, anch’esso, un figlio della luce: “Il tipico pennello del pittore intriso di colori, in questo caso è sostituito da un ugual pennello dal quale al posto dei colori, scaturisce un raggio di luce con cui illumino, dove ritengo opportuno , i soggetti posizionati in una accurata composizione” – dice Marcialis; e sul Caravaggio… – “nel grande Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, la rivoluzione sta nel naturalismo della sua opera, espressa negli elementi dei suoi dipinti e nelle atmosfere, in cui la plasticità delle figure viene evidenziata dalla particolare illuminazione che teatralmente sottolinea i volumi dei soggetti ed essi escono improvvisamente dal buio della scena. Sono pochi i quadri nei quali il pittore lombardo dipinge lo sfondo, lasciato nettamente in secondo piano rispetto ai soggetti, i veri e soli protagonisti della sua opera. Per la realizzazione dei suoi dipinti, Caravaggio nel suo studio posizionava delle lanterne in punti specifici per far si che i modelli venissero illuminati solo in parte, mediante “luce radente”. Attraverso questo artificio, Caravaggio evidenziava le parti della scena che più riteneva interessanti lasciando il resto nell’oscurità”

Da questo incipit nasce “Caravaggio in cucina”, una serie di opere in still-life ispirate all’opera caravaggesca, che mixa fantasia e tecnica, ammirazione ed interpretazione: “Mi piace pensare con la fantasia, che il Maestro trovandosi in un palazzo di un suo committente, nel girovagare tra saloni e corridoi , alla fine sbuchi in una immensa cucina dove un numero esasperato di ingredienti lo accolgano in bella vista. E lui che fa con tutto questo ben di Dio ? Li ritrae uno ad uno”.

I colori accesi, contrastano sugli sfondi neri, scuri facendo risaltare gli oggetti della quotidianità culinaria, confezionando ogni volta un’opera d’arte, ingabbiando un micro cosmo, snaturandolo dal proprio contesto originale.

Il risultato? Una grande e scanzonata suggestione visiva. 

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Emanuele Ricucci
Emanuele Ricucci, classe ’87. È un giovanotto di quest’epoca disgraziata che scrive di cultura per Il Giornale ed è autore di satira. Già caporedattore de "IlGiornaleOFF", inserto culturale del sabato del quotidiano di Alessandro Sallusti e nello staff dei collaboratori “tecnici” di Marcello Veneziani. Scrive inoltre per Libero e il Candido. Proviene dalle lande delle Scienze Politiche. Nel tentativo maldestro di ragionare sopra le cose, scrive di cultura, di filosofia e di giovani e politica. Autore del “Diario del Ritorno” (2014, prefazione di Marcello Veneziani), “Il coraggio di essere ultraitaliani” (2016, edito da IlGiornale, scritto con A.Rapisarda e N.Bovalino), “La Satira è una cosa seria” (2017, edito da IlGiornale) e Torniamo Uomini (2017, edito da IlGiornale)