«Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio, dei primi fanti il ventiquattro maggio; l’esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera…»
Chi non conosce La canzone del Piave? Questi versi, tra quelli dedicati alla Prima Guerra Mondiale, ci sono rimasti impressi nella memoria, sin da piccoli, insieme a quelli di Giuseppe Ungaretti.
Ecco, mentre si visita la mostra dello Stato Maggiore dell’ Esercito Italiano, “La Grande Guerra. Fede e Valore”, queste parole fanno idealmente da sottofondo all’allestimento, composto da numerosi tasselli che creano un puzzle sempre più ampio e completo.
Potrete visitarla (gratuitamente) presso la Sala Viscontea del Castello Sforzesco fino al 17 gennaio.
Il materiale è raccolto in una grande sala e la visita all’intera esposizione non richiede un tempo molto lungo. Se poi avete avuto modo di assistere allo spettacolo La grande guerra di Mario, diretto da Edoardo Sylos Labini, con cui si è aperta la stagione 2015-2016 del Teatro Manzoni di Milano, sarebbe come chiudere un cerchio.
All’ingresso, si viene subito “accolti” dalle giacche degli eserciti, una austriaca e l’altra italiana (ce ne sono diverse, anche di altri Stati). Alle spalle campeggia la nostra bandiera, utilizzata dal 1910 al 1945, con lo stemma dei Savoia e la corona. Il primo pannello didattico (bilingue, italiano e inglese) introduce lo spettatore a ciò che la Prima Guerra Mondiale ha significato, fornendo dei numeri, in particolare, dal punto di vista del nostro Paese che vide, in quei 41 mesi, oltre 5.000.000 di italiani prestare servizio per la patria. Un concetto difficile da comprendere fino in fondo, soprattutto per le giovani generazioni. Quegli uomini comuni hanno provato sulla propria pelle la guerra: «reticolo, gas, rombo dell’artiglieria, fango delle trincee, l’attesa angosciante dell’assalto e dello scontro corpo a corpo, la presenza continua e quasi familiare della morte, l’esultanza liberatrice della vittoria e della fine dei combattimenti». È come se quei cimeli, così gelosamente custoditi nelle vetrine, rendano vere e tangibili quelle parole, quei gesti, quel dolore, che rese tutti uguali di fronte alla morte. La scelta di mettere accanto al berretto da volontario ciclista/automobilista del Cappellificio Monzese anche l’Elmo da ulano della Germania imperiale o il Képi austriaco, e quello francese, ne è testimonianza.
I pannelli illustrativi vanno letti seguendo un percorso quasi a ferro di cavallo; tra questi, quelli dal contenuto più cronachistico ed altri che offrono uno spaccato più dettagliato delle fasi del conflitto. Qui impressi, tra manifesti o rare immagini, nomi che già conosciamo, come quello del generale Cadorna o dei futuristi Boccioni, Balla, Marinetti. I contributi descritti sono stati elaborati con minuzia dall’Esercito Italiano mentre la documentazione originale appartiene agli archivi di istituzioni pubbliche e private milanesi: Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Milano e Archivio di Stato di Milano – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Società Storica Lombarda.
Poi i documenti e le stampe, posti in modo ordinato, nella parte centrale e per tutta la lunghezza della sala; tra queste le venti incisioni del marchigiano Anselmo Bucci, cronista della Grande Guerra, tratteggiano quel periodo in maniera differente dall’eccentricità futurista. L’artista, usando per lo più la tecnica della “punta secca”, mette a tema vari momenti, da quelli propri dello scontro bellico a quelli di svago, come una partita a carte tra soldati. Il fatto che nell’ultimo lavoro, Ritorno ai campi, arrivi il colore è sintomatico anche dello stato d’animo con cui Bucci viveva la sua arte e quegli anni.
Dall’Archivio di Stato di Milano, invece, arrivano dei documenti, disposti in modo cronologico e divisi in quattro sezioni. Nel contesto della mostra, inoltre, numerose testimonianze cartacee ci ricordano come, nonostante il drammatico periodo, si fosse prestata grande attenzione alla tutela del patrimonio artistico e culturale italiano, messo in salvo dai rischi della guerra (come per il Cenacolo o ancora il ciborio della Basilica di Sant’Ambrogio).
Tutto quello che viene raccontato con le parole, i documenti autografi, gli abiti, gli oggetti del tempo ci fa ripensare a quel “Fede e Valore” che campeggia nel titolo della mostra. Uomini celebri, comuni e militi ignoti hanno fatto la storia insieme.
“Fede e Valore”. Valori, appunto, da riconoscere, che hanno unito gli italiani provenienti da ogni angolo della nostra terra, tra le trincee di quel primo conflitto mondiale.
La mostra rimarrà a Milano fino al 17 gennaio 2016, ma continuerà in tutte le provincie lombarde, concludendosi a Bergamo nel settembre 2016 .
pur apprezzando i versi e dichiarazioni di Ungaretti contro la guerra , non riesca capire cosa cetra con la “legenda del piave ” scitta da giovanni ermete gaeta , in arte e. a. mario noto musicista e poeta napoletano ,la legenda del piave dopo il 1943 diventò l’inno nazionale provvisorio che sostituì la marcia reale savoia , poi parlando di cadorna è evidente(a chi conosce un poco di storia) che cadorna fu una iattura e guarda caso l’italia fu portata alla vittoria da un altro generale ,anche lui napoletano armando diaz , ci sarebbe ancora da dire ma mi fermo qui .
L’unico commento adeguato per non dire d’obbligo è il seguente:– SE IN ITALIA CI FOSSE UNA SCUOLA MENO SINISTROSA E CULTURALMENTE MENO SINISTRATA , GESTITA DA SINISTROIDI, sarebbe auspicabile e certamente utile agli studenti ed anche al corpo insegnante visitare i grandi cimiteri della prima guerra se non altro almeno per il rispetto dovuto a chi ha sopportato immani fatiche e disagi e sacrificato la propria vita .
Ho appena finito di leggere il libro scritto da “Valerio Gigante- Luca Kocci-Sergio Tatarella” dal titolo “Prima Guerra mondiale-La Grande menzogna-” dove viene messo a nudo “tutto quello che non vi hanno raccontato”. Basti pensare alla prosopopea della casta dell’alto comando,piemontese, che al comando del generale Cadorna,mandò al macello migliaia di poveri soldati contadini, ignari del perché di tanta carneficina. Mitragliatrici nemiche sulle alture e soldati che dovevano ad ogni costo conquistare qualche diecina di metri di posizione, falciati ,tanto che gli austrici li imploravano di non farsi ammazzare così ,per nulla. Generali che ti facevano fucilare solo perché la divisa non era in ordine o perché avevi salutato con il sigaro in bocca.Carabinieri messi a guardia di chi non andava all’assalto per poi sparargli addosso,soldati che uscivano matti,dimenticati nei manicomi, nostri prigionieri considerati disertori ed abbandonati,mentre prigionieri inglesi e francesi ricevevano viveri e conforto dai loro governi. Intrallazzi dell’alto comando.Pare che Cadorna prima del conflitto avesse comprato azioni Ansaldo. Acquisto di cavalli bolsi dagli USA e pagati come purosangue etc. etc. La disfatta di Caporetto con migliaia di soldati italiani fucilati per diserzione,disfatta della quale furono incolpati i soldati e non lo stato maggiore e l’artiglieria di Badoglio che non sparò un colpo. Alla fine gli imperi centrali si arresero per fame. Che ci guadagnò l’Italia? Trento e Trieste e quacosa d’altro che l’Austria gli avrebbe concesso lo stesso se l’Italia fosse rimasta neutrale. Altro che fulgido valore e retorica ed enfasi. Diciamola tutta però,come la raccontano decine di scrittori e poeti che vi parteciparono. Certo i generali la raccontano a modo loro,è il
e non scordiamoci del simpatico debito fatto con usa e inghilterra per circa 3000 tonn di oro (63 miliardi lire) rimborsabile in comode rate fino al 1988
per maggiori approfondimenti consiglio:
http://cronologia.leonardo.it/storia/italia/crisi04.htm
Poveri fanti, poveri alpini, avete combattuto per una guerra inutile. Ne siete morti in 600 mila per volere di una classe politica di imbroglioni e un re senza palle. L’Italia era alleata con gli imperi centrali.Poteva starsene tranquillamente fuori. Vi hanno mandati al macello senza motivo. E quel povero fante che non avanzava trovava alle sue spalle i reali carabinieri che lo arrestava, lo precessava un tribunale militare, che infine lo riconsegnava ai reali carabinieri (nei secoli fedeli) per la fucilazione.Ma questo sui libri di storia mica sta scritto, e neppure nelle cerimonie ufficiali si ricordano di voi, poveri fanti fucilati per non voler morire in una guerra ingiusta e inutile. L’Italia e´stata costruita sul sangue dei poveri cristi come i fanti del Carso mandati a morire da generali coglioni .
La prima guerra mondiale è stata l’ultima guerra “antica” combattuta tra soldati sui campi di battaglia. Con la seconda guerra mondiale i campi di battaglia divennero tutti i territori degli avversari. Oggi purtroppo gli assassini islamici dell’ISIS hanno portato guerra alla nostra stessa esistenza. Oggi si deve combattere per far sopravvivere la nostra civiltà di cui vengono cancellate anche le antiche vestigia. Questo, gli ottusi trinariciuti della sinistra non l’hanno ancora capito.
non dimenticheremo mai le sofferenze e le privazioni di milioni di soldati italiani, per colpa di una classe politica, identica a quella attuale, dove gli interessi industriali e capitalistici cozzavano con le necessità sociali… gli interessi di pochi ricchi sulle spalle di milioni di poveracci. oggi si sta ripetendo, come il caso del fallimento delle banche e i risparmiatori raggirati.
onore ai soldati! un disonore ai cre.tini di sinistra!
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