Con un colpo di coda improvviso e spietato, questo 2015 agli sgoccioli, non contento di averci già strappato Elio Fiorucci e Micol Fontana solo qualche mese fa, ha tirato un altro – l’ennesimo- colpo di scure al fashion world, e si è portato via senza avvisare una delle signore indiscusse della moda all’alba dei suoi 91 anni, Mariuccia Mandelli.
Forse le nuove generazioni tutte piene di termini come ‘urban’o ‘street style’, non potranno capire mai a pieno il vero significato di questo lutto per il mondo della moda. La Mandelli, nata a Bergamo e diventata nel tempo una milanese doc, era la mamma di Krizia, la fondatrice di un brand storico e fondamentale per il dna più puro della moda così come la conosciamo oggi, talmente concatenato alla sua evoluzione da rendere impossibile pensare all’uno senza chiamare in causa l’altra. Quella donna, che gli americani avevano ribattezzato affettuosamente “Crazy Krizia”, era in effetti forse un po’ pazza, ma accesa da quella follia che fa spesso rima baciata con una parola che si accompagna a pochi, pochissimi eletti: genialità. Ne era convinto pure Andy Warhol, che tra attrici, attori, e personalità di spicco, decise di ritrarre anche lei.
Si dice che la signora Mandelli, che in gioventù voleva fare l’insegnante, una volta lanciò un posacenere ad un suo assistente. Non era un assistente qualunque, ma quell’Alber Elbaz destinato a diventare poi il divo della moda per anni alla guida di Lanvin. Sì, questa in effetti era una delle peculiarità della stilista: la capacità di individuare, tra i tanti “wannabe”, gli astri nascenti pieni di talento e di prenderli, seppur per breve tempo, sotto la sua ala cosparsa di pazzia: Karl Lagerfeld, Elbaz, Giambattista Valli, hanno tutti vissuto alla corte creativa di madame Krizia prima di spiccare il volo verso il successo. Sarà un caso? La risposta non può che essere no.
Se le leggende metropolitane la descrivono ancora come una burbera, eccentrica, capace di sfuriate esplosive, la verità è che questa regina dello stile, proprio con la sua forza prorompente, con il suo carattere graffiante come quello delle pantere che amava seminare qua e là sui capi del suo pret à porter, nella seconda metà degli anni ’60 è riuscita, come sola quota rosa (se si esclude Rosita Missoni che però duettava nell’indotto con il marito Ottavio) in un mondo fatto di designer uomini, a gettare le fondamenta del ready to wear all’italiana e, al tempo stesso, del tessuto sociale della Milano creativa in procinto di diventare la Milano della moda di oggi.
Ecco, se ne conoscessero un po’ la storia, quei giovani che oggi inneggiano all’avanguardia traslata sulle passerelle, probabilmente ne farebbero la propria beniamina. Sì, perché in barba al leggendario caratteraccio, Mariuccia Mandelli ha guidato per tutta la sua vita una personale crociata contro l’omologazione, ha rischiato, osato, tentato il tutto per tutto, cavalcando successi in veste di imprenditrice –lanciando profumi, accessori, maglieria e occupandosi per prima delle donne formose, le “curvy” di oggi- e mostrando un incredibile temperamento nei momenti di difficoltà, uno fra tutti, l’unico neo del suo curriculum, il suo presunto coinvolgimento nel caso di Mani pulite: accusata di aver versato tangenti alla Guardia di Finanza, fu assolta nel 1998 dalla Corte D’Appello con formula piena.
Le nuove generazioni rimarrebbero incantate a sentirne il racconto, quasi come quei bambini alle prese con le storie di guerra dei nonni: così pieni di dettagli, fatti inaspettati e particolari che sembra quasi di riviverla sulla propria pelle.
Ecco, allo stesso modo la Mandelli ha condotto una personale guerra non solo di stile, ma anche sociale. Mentre all’inizio degli anni ’70 tutti proponevano maxipull e lunghe gonne, mai sopra il ginocchio in difesa del comune senso pudico, lei portava in passerella shorts inguinali, e introduceva materiali prima sconosciuti al fashion world. Sotto l’egida della sua creatività tutto, persino l’alluminio, il sughero o la gomma, diventava materia prima del suo innovativo pret à porter.
Amava anticipare: i pensieri, la moda, le mode. Così, mentre andava in giro con la sua divisa d’ordinanza fatta di enormi occhiali da sole e del caschetto severo, simbolo della determinazione che per tutta la vita l’ha accompagnata, organizzava feste, presentazioni, eventi, nel suo celebre spazio milanese dove accoglieva i cittadini aprendo loro le porte di un mondo spesso troppo lontano dal loro quotidiano. Qui la stilista si animava in accesi dibattiti politici, e sosteneva l’editoria femminile. Non si pagava il biglietto, non serviva l’invito: l’importante era essere aperti ad accogliere e ad offrire spunti, per contribuire a quel flusso creativo che lei stessa ha alimentato costantemente per tutta la sua vita. Era un po’ pazza sì, ma non folle. Ha saputo lasciare quando è stato il momento, pur amando ancora alla follia quel figlio professionale che era il suo marchio. L’ha venduto nel 2014 ad un’altra donna forte, la cinese Zhu Chongyun, che ne ha colto il valore, prima che rischiasse di rovinarsi definitivamente quella patina di magia costruita in anni di fatica ed intuizioni e negli ultimi anni un pò impolverata.
Proprio come se si trattasse di una nonna tanto amata, in questo caso non solo dai suoi nipoti, ma da un indotto intero, la Mandelli ora che non c’è più lascia un vuoto che non è colmabile, ma anche un esempio, e persino un invito ideale ai nuovi creativi: quello di vivere con coraggio credendo nelle proprie passioni. Lei lo fece il giorno che decise di lasciare un lavoro sicuro, quello da maestra, e inseguire il suo sogno. Gli bastarono una macchina da cucire, il suo estro e una valigia con cui girava per mostrare i suoi primi modelli per posare la prima pietra di quell’impero chiamato Krizia.