L’estasi della Macchina. Di Santa Rosa…

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La Macchina di Santa Rosa 2015 (foto: Paolo Bianchini)

Trenta metri di campanile, un palazzo di dieci piani. Una torre illuminata portata a spalla da cento uomini nelle buie vie del quartiere medievale più grande d’Europa, sotto il cui peso, a tempo di marcia, la fatica muta aspetto e plasma un sentimento nuovo, quello dell’amore viscerale di una terra per la sua Santa, per la propria tradizione secolare. Ogni anno a Viterbo, la città che ha visto nascere il Conclave, esplode in un rito collettivo.  È inutile filosofeggiarle innanzi. Essa è lì, ferma ad offrirsi, come baluardo della sua gente. La si osserva, sorretta da angeli, e si rimane in panne. Uno choc estatico. Ad ogni “mossa”, quel “sollevate e fermi” spezza il fiato a tutti. Quel momento è una conferma della propria identità. È la prova, Il segnale.

Quest’anno ha cambiato veste, nome ma non significato: la nuova Macchina di S.Rosa si chiamerà Gloria ed esordirà il 3 Settembre, alle ore 21.00. Sarà degna erede di precedenti capolavori. Il quinquennio di attività di Fiore del Cielo, di cui prende il posto, è scaduto. Ogni lustro, infatti, il bando di gara per il concorso di idee, indetto dall’Amministrazione Comunale di Viterbo, scova nella miriade di progetti artistici ed ingegneristici, di bozzetti e proposte, coloro che daranno vita alla nuova “Macchina”, la stessa che per cinque anni, ogni anno, illumina gli occhi e le anime dei viterbesi.  Gloria è figlia dell’architetto Raffaele Ascenzi e di Luigi Vetrani, grafico del progetto, che lo scorso gennaio si sono aggiudicati la gara e la possibilità di poterla porre in opera. Dopo alcuni mesi di cantiere, necessari per la costruzione della struttura, successivamente al collaudo, la cosiddetta prova del traliccio, la nuova Macchina di S.Rosa è pronta a partire, in Piazza S.Sisto, nel cuore di Viterbo, a rinnovare una fede che costituisce trasmissione intergenerazionale, di facchino in facchino – così come sono chiamati i cento devoti trasportatori scelti tra i più forti viterbesi -, di famiglia in famiglia.

La macchina viene trasportata da cento uomini
La macchina viene trasportata da cento uomini

Un evento che affonda le proprie radici nel medioevo. Il trasporto rievoca simbolicamente la traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta a Viterbo nel 1258 per disposizione di Papa Alessandro IV, dalla Chiesa di Santa Maria in Poggio (detta della Crocetta) alla chiesa di Santa Maria delle Rose (oggi Santuario di Santa Rosa). Solo nel XVII Secolo, la manifestazione assume i contorni moderni, di come la conosciamo oggi. Eppure, il trasporto della Macchina di S.Rosa è qualcosa di più di un evento italiano. È una testimonianza di fede incondizionata di una comunità, è una frazione di spazio e di tempo capace di sopravvivere al relativismo dallo spirito illuministico, oltre ogni revisione storica, di superare abilmente la dicotomia tra sacro e profano, di accomodare con la sua forza la sempiterna tenzone tra poteri, quello spirituale e quello temporale. Per goderne con i propri occhi, si sono succeduti a Viterbo, Pontefici – Giovanni Paolo II nel 1984 e Benedetto XVI nel 2009 -, alte cariche dello Stato, presidenti del Consiglio dei Ministri e leader di partito, celebrità.

Nulla è riuscito a disturbare il suo continuo viaggio verso il ritorno alle radici, se non il lento e pesante passo delle polemiche. Nessuna egemonia culturale, nessun neoghibellinismo becero che possa ritenerla superata, che possa ridurla a misero folklore, nessuna laica riesumazione anacronistica, che l’avrebbe sostituita alle gesta dell’impero di Federico II, alcuna superficialità, come quella di certa stampa nazionale capace di inserirla nel meglio del peggio del Milano Expo 2015, in cui risiede un esemplare della Macchina, riesce o riuscirà mai a scalfire una tradizione artistica, sacra, comune, così unica al mondo da aver ottenuto, nel 2013 a Baku, in Azerbaijan, il riconoscimento di Patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Anche il 3 Settembre di quest’anno, come nello scorrere dei giorni, “semo tutti d’un sentimento!”, come recita il motto.

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Emanuele Ricucci
Emanuele Ricucci, classe ’87. È un giovanotto di quest’epoca disgraziata che scrive di cultura per Il Giornale ed è autore di satira. Già caporedattore de "IlGiornaleOFF", inserto culturale del sabato del quotidiano di Alessandro Sallusti e nello staff dei collaboratori “tecnici” di Marcello Veneziani. Scrive inoltre per Libero e il Candido. Proviene dalle lande delle Scienze Politiche. Nel tentativo maldestro di ragionare sopra le cose, scrive di cultura, di filosofia e di giovani e politica. Autore del “Diario del Ritorno” (2014, prefazione di Marcello Veneziani), “Il coraggio di essere ultraitaliani” (2016, edito da IlGiornale, scritto con A.Rapisarda e N.Bovalino), “La Satira è una cosa seria” (2017, edito da IlGiornale) e Torniamo Uomini (2017, edito da IlGiornale)