Parigi celebra l’Italia, dal liberty al design

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Giorgio De Chirico, Ritratto di Apollinaire, 1914
Giorgio De Chirico, Ritratto di Apollinaire, 1914

È in un punto interrogativo che si racchiude il senso della mostra dedicata all’arte decorativa italiana della prima metà del ‘900, Dolce vita? Dal Liberty al design italiano, allestita in un’ala del Museo d’Orsay a Parigi e visibile fino al prossimo 13 settembre. Giocando con il titolo della pellicola felliniana, la mostra segue un percorso cronologico, racchiuso in oltre 160 opere, che, partendo dall’Esposizione delle Arti Decorative del 1902, percorre quarant’anni di storia italiana attraverso il mutamento e la creazione di nuove correnti artistiche, espressione dei cambiamenti insiti nella cultura e nella politica.

Il percorso, realizzato in collaborazione tra il museo parigino e il Palazzo delle Esposizioni, curato da Beatrice Avanzi e Irene de Grutty, prende le mosse dal lavoro congiunto di ebanisti, ceramisti e maestri vetrai che si ritrovano a collaborare con i più grandi artisti dell’epoca dando vita al Liberty. Proprio a Torino questa unione si mostra per la prima volta grazie ai mobili di Carlo Bugatti, dalle decorazioni naturaliste, o agli arredi e ai vetri di Vittorio Zecchin, dove convivono atmosfere bizantine e secessioniste. Procedendo nel percorso ci si imbatte nell’estetica futurista sviluppata da Balla, Depero e Boccioni, i quali estesero il concetto di dinamismo anche agli oggetti della vita quotidiana, dal gilet futurista di Marinetti alle “case d’arte”, produzione di mobili o giocattoli realizzati con uno stile innovativo e legato alla nascente industrializzazione.

Carlo Bugatti, Sedia, 1902

La parte centrale è dedicata alla Metafisica, corrente pittorica che riporta il mito classico al centro dell’opera sfumandola di simbolismo ma che non disdegna incursioni nelle arti decorative grazie alle porcellane di Gio Ponti o ai vetri di Buzzi e Martinuzzi. Quel ritorno all’arte classica si fa più prominente nel Novecento Italiano, movimento ufficiale del regime fascista, dove, in opposizione alle avanguardie, c’è un ritorno alle lezioni di Giotto e Piero della Francesca fino ad una rivisitazione della mitologia classica che trova espressione nel connubio di forme semplici con decori dai contorni mitici, assenti nel Razionalismo (lampada Bilia di Ponti o la poltrona-seggiovia di Franco Albini), esempio di integrazione tra arte ed industria che di lì a poco sfocerà nella produzione in serie.

A conclusione del percorso una sala dedicata a proiettare filmati dell’Istituto Luce dove un’impettito re Umberto I di Savoia presidia all’inaugurazione del 1902, primo tassello di oltre quarant’anni di trasformazione artistica che andarono di pari passo con l’evolversi della società italiana, registrando mutamenti e umori di un Paese grazie alle opere di artisti capaci di captarne ed indirizzarne l’evoluzione che porterà alla nascita del design moderno ma che dovrà scontrarsi con gli orrori di due guerre. Una vita dolce intervallata da parentesi amare.