Cattelan a Rimini. Aria fritta

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cattelan

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Questa è l’arte contemporanea, baby. Il manifesto che ritrae un tipo a gambe larghe, boxer blu a pallini bianchi con la pietra appesa al gancio della minchia, si trova sul cantiere del Teatro Galli, simile a un femore, dove Giuseppe Verdi, un po’ annoiato, per la verità, nel 1857 diede avvio alla prima dell’Araldo. Come a dire, che palle i monumenti. 

Teologia sull’aria fritta. Al sindaco di Rimini Andrea Gnassi, mascella volitiva e piglio da eroe popolare stalinista, è andata male (per il momento) la rincorsa a un Ministero, è più facile, se accetta un consiglio, che ottenga la direzione della prossima Biennale di Venezia. Gnassi ha capito che l’arte, da tempo, è marketing, è un prodotto promozionale ed elettorale, «mentre il resto d’Italia parla di calciomercato, da noi si dibatte sull’arte». Cioè: si fa teologia sull’aria fritta.

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Arte, sterco del demonio. Tutto cominciò con la carta per pulirsi il sedere dopo i bisogni. Sotto la mutanda Toilet Paper, infatti, che in inglese è la carta igienica e in Italia è una rivista creata tre anni fa da Maurizio Cattelan e dal fotografo Pierpaolo Ferrari, nasce il progetto “Saluti da Rimini”, che ormai conoscono anche i muri. Nei luoghi canonici del turismo riminese (stazione, ruota panoramica, rotonda del Grand Hotel) e in quelli della storia civica (Arco d’Augusto, Castel Sismondo, Teatro Galli, Ponte di Tiberio), compresa una zona off (la rotonda di Bellariva), appaiono dei manifesti giganti che riproducono, con virtuosità vintage anni Settanta, i luoghi comuni dell’immaginario romagnolo.

copertina di ToiletPaper
copertina di ToiletPaper

Chi conosce la rivista (www.toiletpapermagazine.org) farà spallucce: sono manifesti devoti rispetto alle immagini della suora che si fa una pera, della fanciulla che lecca la maniglia, della tizia che misura le dimensioni di un vibratore. 

Esercizi di “rimming”. La vera opera d’arte rivoluzionaria, comunque, l’ha fatta il Comune in concordia con il designer internazionale Leonardo Sonnoli forgiando il brand rimining (che illumina anche il progetto di Cattelan), inconsapevoli delle erotiche assonanze con la pratica del rimming (leccare il deretano come start up al godimento), sottolineate da tutti i motori di ricerca. L’esercizio torna di moda parlando di Cattelan, «un perenne monello, un istrione irriverente e geniale, un giullare nudo con la corona in testa», dice l’assessore alla cultura Massimo Pulini, artista, critico d’arte che nel 2010 tirò fuori dal cilindro di Montepulciano un Caravaggio, a cui l’assessorato forse ha dato alla testa. «Il regno anarchico di Cattelan ha assestato colpi chirurgici al linguaggio sociale», dice il magistrale critico d’arte, che affianca la pala dei Carmelitani di Guido Cagnacci in Rimini all’estatica fanciulla travolta da una marea di patatine, dopo che il sindaco, in pieno delirio, ha citato Leon Battista Alberti. Di fatto, la competenza estetica dell’amministrazione si vede dai particolari: Rimini, scrivono, resta la città dove «c’è Fellini e c’è la piadina», avvicinati in modo diabolico e indiscriminato, equivalente. E dove Maurizio Cattelan è definito «l’artista più quotato». Non quello più bravo. Perché la bravura ha a che fare con l’arte, le quotazioni con il mercato. Appunto: l’arte è marketing, effervescenza turistica. Purché se ne parli.  

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Il problema, piuttosto, è che passeranno inosservati. Da oggi, schiere di indignati benpensanti bestemmieranno il sindaco. Proprio questo è l’effetto anelato da Gnassi e da Pulini, il gatto e la volpe della cittadella balneare, un tempo beatificata dal Malatesta ora malauguratamente preda di Cattelan. Ma la realtà dei fatti è che sono più provocanti e provocatorie le cartoline anni Ottanta con le tipe in tanga e saluti riminesi incastrati tra le poppe. La polemica infurierà, ma che tristezza il Cattelan reso innocuo da Rimini, incarcerato nell’ovvio: ci vorrebbero i bambini impiccati agli alberi, i papi sgonfiati dai meteoriti, gli Hitler fanciulli del Maurizio furioso per risvegliare la Rimini addormentata sugli allori del passato, ubriaca di amarcord.

Anzi, meglio ancora, ci vorrebbe il fatidico dito medio di marmo. Esposto in faccia al Palazzo del Comune. Ma costa troppo. 

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