Saviano ha copiato? Sì. No. Nì. Forse. Boh!

1

La santificazione in vita è il pericolo maggiore che può correre un uomo. Devastante per lui, umiliante per chi lo santifica. Prendiamo l’ultimo esempio di cui è stato vittima (e santo) Roberto Saviamo. Lunedì la Cassazione ha confermato – tranne per la quantificazione dei danni – la decisione presa a suo tempo dalla Corte d’Appello di Napoli che aveva condannato Saviano per aver plagiato, nel suo bestseller Gomorra, alcuni articoli di cronisti napoletani. Sentenza chiara: per la legge – al di là della quantità delle parti “rubate” e al di là dei danni che l’autore deve pagare – Saviano ha copiato. Punto. La qual cosa non ne diminuisce i meriti letterari.


La vicenda curiosa è che, per non rovinare il santino dello scrittore, i giornali o non hanno affatto riportato la notizia, oppure quando lo hanno fatto (spesso nelle pagine locali di Napoli e non nelle edizioni nazionali) hanno “letto” la sentenza a proprio piacere. La Corte su sette punti del ricorso di Saviano ne ha respinti sei, accogliendone uno. Ed ecco che i grandi quotidiani pubblicano solo il punto del ricorso accolto, tacendo degli altri.

Come ha scritto Dagospia – unico nel circuito mediatico italiano – “è un po’ come se la vostra squadra del cuore perdesse una partita 6 a 1, ma le tv mostrassero solo il gol della bandiera”.

Schermata 2015-06-16 alle 10.38.49
Titolo dell’home page del Corriere della Sera

_____

Schermata 2015-06-16 alle 10.38.41
Titolo home page il Giornale

Per ricostruire il caso di plagio di Saviano, e contestualizzare la sentenza della Cassazione, pubblichiamo il paragrafo relativo a “la faida legale attorno a Gomorra” contenuta nel saggio di Luigi Mascheroni da poco in libreria Elogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale a Saviano (Aragno editore).

_________________

La faida legale attorno a Gomorra inizia nel 2006, quando esce Gomorra, un libro anomalo che corre sul sottile filo teso tra giornalismo e fiction, all’inizio sottovalutato da molti, sfuggito dalle mani a tutti – autore, editore, critica e pubblico – e divenuto, suo malgrado e malgrado tanti, un bestseller assoluto. Un libro (e poi film e poi serie tv) di culto, un titolo-bandiera e sbandierato da troppi, spesso strumentalmente, molto più citato e autografato che letto. Quasi un modo di dire, più che un classico.

gomorraGomorra: l’origine di tutto il bene e tutto il male per Saviano, fonte incessante di guadagni per Mondadori, causa di battaglie legali e campagne giornalistiche, e motivo inesauribile di invidie e gelosie. Un libro che ha agitato i giornalisti, gli editori, i politici e gli altri scrittori più di quanto abbia preoccupato la Camorra. Forse. Di certo di Gomorra e del lavoro di Roberto Saviano, appena diventato ricco e famoso, in tanti si sono sentiti come dei padri, o padrini. Il primo è Simone Di Meo, giornalista di nera, prima al quotidiano “Cronache di Napoli” poi collaboratore del “Tempo” e del “Sole 24Ore”, esperto di Camorra e a sua volta scrittore. È a lui, o perlomeno anche a lui, che si rivolge Saviano, all’epoca giovane giornalista free lance, a metà degli anni Duemila, quando comincia a raccogliere materiale per il romanzo-reportage che avrebbe terremotato l’editoria e la politica italiana. Va trovarlo in redazione, alle “Cronache di Napoli”, lo intervista, i due si scambiano idee e impressioni. Simone Di Meo mette a disposizione di Saviano il proprio archivio, gli lascia molto materiale, si sentono successivamente al telefono e via mail…

Dopodiché, quando nel 2006 esce Gomorra, e tra i giornalisti napoletani iniziano a girare voci di scopiazzatura e (ri)uso di vecchi articoli scritti sui clan, si scopre che ci sono stralci del romanzo-reportage dell’enfant prodige che riprendono alla lettera inchieste pubblicate dai quotidiani campani senza menzionarli. Di Meo legge il libro (“Ben scritto, indubbiamente. Un prodotto di marketing più che culturale. Di inedito, però, aveva davvero poco, e non solo perché riportava i contenuti di cronache locali…”) e dentro ci trova anche un pezzo del proprio lavoro, ma senza alcuna citazione, nemmeno in una nota, del suo nome. E inizia la guerra.

Tra l’autunno del 2006 e il 2009, prima Di Meo riempie di richieste di rettifica la Mondadori, casa editrice di Go- morra, poi passa alle vie legali citando per danni l’autore del bestseller (richiesta: 500mila euro). L’“oscuro” cronista sulle pagine del “Roma” imputa alla star Saviano, ormai sulla strada della santificazione, di aver preso pezzi di suoi articoli sia sulla faida di Secondigliano sia sul clan Di Lauro e di averli riportati pari pari nel libro, oppure di averli riassunti e rielaborati, omettendo di citare la fonte. Poi lo accusa di aver appreso direttamente da lui notizie confluite in Gomorra (indiscrezioni giudiziarie, atti investigativi e processuali) come fossero farina del suo sacco.

images

Per Di Meo – ribattezzato dai colleghi e dagli avvocati napoletani “il Saviano dei poveri” – i punti della questione sono due. Il primo è la mancata citazione in Gomorra di alcune parti di suoi articoli riproposti senza alcuna variazione, una sorta di copia-e-incolla di pezzi suoi e di altri cronisti, mentre in altri casi non c’è la traslazione integrale ma Saviano ci gira intorno, usa spesso termini e riferimenti precedentemente utilizzati dal giornalista. Il secondo livello è costituito da notizie pubblicate sul quotidiano “Cronache di Napoli” durante la faida di Secondigliano – di cui non esiste traccia in atti giudiziari, in agenzie di stampa o in altri reportage giornalistici – che sono diventate parti integranti della narrazione di Gomorra, anche in questo caso senza alcun riferimento alle fonti. In un primo momento la casa editrice Mondadori nega ripetutamente “ogni indebita appropriazione da parte di Saviano”, e lo stesso Saviano precisa che non esiste alcun plagio e ha attinto da fonti pubbliche, desumibili anche da giornali, e da fonti consultate direttamente. Poi, per chiudere una questione che si stava trascinando da troppo tempo, la casa editrice Mondandori, su consiglio del proprio ufficio legale, dispone che a partire dall’undicesima ristampa di Gomorra sia inserito il nome di Simone Di Meo nel corpo del testo (a p. 141). Fine della disputa. Almeno dal punto di vista giudiziario. Il caso però si trascina a lungo – essendo la polemica giornalistica la continuazione delle cause legali con altri mezzi – su quotidiani, blog, televisioni. Lo stesso Di Meo e altri cronisti di volta in volta ritornano sull’argomento accusando di furto l’“icona della lotta antimafia” e invocando giustizia, cioè di avere anch’essi un posto al sole.

Chi invece arriva fino in Tribunale sono i quotidiani locali scippati dallo scrittore: un lungo iter giudiziario iniziato nel 2008 quando la Libra, editore di “Cronache di Napoli” e “Corriere di Caserta”, avvia l’azione giudiziaria contro Saviano chiedendo 300mila euro di danni. Saviano – questo è contenuto nelle ragioni esposte dall’editore – negli anni 2004 e 2005 “si era recato presso le redazioni di ‘Cronache di Napoli’ e ‘Corriere di Caserta’ chiedendo copia delle fonti giornalistiche scritte nonché copia dei numeri in cui i relativi documenti erano stati oggetto di specifici articoli”.

Nel 2013 la Corte d’Appello di Napoli riconosce che alcune pagine dell’opera Gomorra sono “un’illecita riproduzione” di articoli dei quotidiani locali “Cronache di Napoli” e “Corriere di Caserta” (ribaltando così la sentenza di primo grado, del 2010, con cui il Tribunale aveva rigettato le accuse dei due quotidiani). Saviano e Mondadori sono condannati al risarcimento danni per 60mila euro. In più, il Tribunale intima che nelle edizioni di Gomorra stampate da quel momento in avanti sia indicato il nome dell’autore degli articoli, dell’editore dei due quotidiani – la Libra Editrice – e della testata da cui sono stati tratti.

La vicenda giudiziaria (chiusa qualche giorno fa in Cassazione) è durata cinque anni. Saviano si è difeso sui giornali e in televisione, citando come avvocato il compianto Enzo Biagi: “Lui mi disse – ricordò una volta lo scrittore nel salotto televisivo di Fabio Fazio – ‘Sei arrivato davvero quando fanno un falso del tuo libro e ti accusano di plagio’”.

Saviano è un intellettuale di fama mondiale, amico di Nobel e filosofi, politici e direttori di giornali, vive sotto scorta e non viene toccato dalle critiche perché, come ripete, “la Camorra non uccide con le pallottole ma con la diffamazione”. Però nel momento in cui viene depositata la sentenza di condanna, il 21 settembre 2013 lo scrittore napoletano affida a Facebook tutto il proprio sconforto: “In questi lunghi anni sotto scorta, nel corso dei quali ho affrontato molti attacchi, quel che in assoluto più mi ha ferito sono state le accuse di plagio, perché ho sempre scritto e lavorato ai miei articoli e ai miei libri personalmente e con dedizione. Ho sempre cercato fonti e notizie ovunque le trovassi. Ho sempre voluto come prima cosa accertarmi che quanto stessi raccontando fosse vero, provato, verificato. […] I giudici hanno ritenuto che due passaggi del mio libro avrebbero come fonte due articoli dei quotidiani di Libra. Neanche due pagine su un totale di 331.

Ricorrerò in Cassazione. Anche se si tratta dello 0,6% del mio libro, non voglio che nulla mi leghi a questi giornali: difenderò il mio lavoro e i sacrifici che ha comportato per me e per le persone a me vicine”. Simone Di Meo in una lunga lettera al “Tempo” nel settembre 2013, a faccenda conclusa, ricordando di quando accettò la citazione “riparatoria” inserita da Mondadori in Gomorra, scrive: “Non andai oltre né chiesi altro. Per me poteva bastare. Non per lui, però, che da quel momento ha sfruttato ogni occasione possibile per attaccare i giornali napoletani cui pure aveva attinto a piene mani dipingendoli come house organ della camorra e strumenti di diffusione della subcultura malavitosa campana. Perché si sia vendicato così, ancora oggi me lo chiedo […] Non ai soli colleghi napoletani è stata scippata la possibilità di sentirsi coinvolti in un grande progetto culturale e sociale (cui Saviano ha dato carne e sangue) di ribellione alla prepotenza del crimine. Tanti altri sono stati marginalizzati e ridotti al ruolo di scomodi sparring partner”. “Scomodi sparring partner”. Dice così, nella lettera.

E a differenza di Saviano, che spesso dimentica di citare i nomi, Di Meo fa un lungo elenco, riassumendo vicende delle quali negli anni precedenti la stampa (a spizzichi e bocconi per la verità, e quasi mai la stampa “maggiore”) ha dato conto. Ad esempio i giornalisti del settimanale albanese “Investigim”: accusarono la star antimafia di aver fatto sua, in un’intervista all’emittente albanese Top-Channel nel 2011, un’inchiesta sui rapporti tra Camorra e Sigurimi, la polizia segreta albanese durante la dittatura comunista, rubata da un intero numero speciale della loro rivista senza far menzione della fonte. Ad esempio lo scrittore Giampiero Rossi: ritrovò interi passi dei propri libri sull’allarme amianto alla Eternit di Casale Monferrato recitati, ma senza citazione, nel fortunatissimo programma televisivo di Roberto Saviano e Fabio Fazio Quello che (non) ho andato in onda in tre puntate nel maggio 2012 in prima serata su La7. Ad esempio Giovanni Tizian, giornalista sotto scorta per le minacce ricevute dai clan: scrisse un capitolo dal titolo “Il sacco del nord” per il rapporto di Legambiente sulle ecomafie italiane, Ecomafia 2012. La prefazione, firmata da Roberto Saviano, è incredibilmente un doppione (quasi) perfetto dello stesso saggio di Tizian. Saranno i curatori del dossier a tirare fuori dai guai lo scrittore napoletano addossandosi la colpa e imputando tutto a un errore di editing.

E poi ci sarebbe il caso di ZeroZeroZero, il secondo attesissimo libro-inchiesta pubblicato da Saviano nel 2013, per Feltrinelli, e dedicato a cocaina e narcotraffico. Al di là della copertina, a proposito della quale “il Sole 24Ore” segnalò la singolare somiglianza con quella del romanzo In fondo al pozzo di Domenico Spadavecchia uscito l’anno precedente (l’immagine è identica: sfondo nero su cui appoggiano tre strisce di cocaina nell’opera di Saviano, quattro in quella di Spadavecchia), quello che colpì i primi recensori, ancora una volta, furono le fonti. “Tuttolibri”, l’inserto culturale della “Stampa”, dedicò a ZeroZeroZero, in libreria da pochi giorni, due (ottimi) articoli, di cui uno firmato dal criminologo Federico Varese. Il quale, non si sa quanto con imbarazzata distrazione quanto con perfida noncuranza, all’improvviso butta lì che “certe parti del libro sono basate su dati facilmente reperibili su internet, incluso Wikipedia (penso soprattutto alle pagine un po’ deboli sulla Familia Michoacán e sui Cavalieri Templari, o al resoconto delle misure del governo messicano contro i narcotrafficanti)”. E infatti, confrontando i passaggi di Saviano con quelli di Wikipedia… i conti tornano.

Tanti piccoli esempi, che lasciano però qualche grosso dubbio non tanto sulla buonafede di Saviano, quanto sulla capacità di tenere sempre alti gli standard di originalità e qualità di scrittura per un intellettuale non solo sotto scorta (e già basterebbe a giustificare qualsiasi scivolone) ma sotto pressione continua dal punto di vista mediatico ed editoriale, tra scrittura di libri, articoli, interviste, ospitate televisive, presentazioni a festival e convegni… La fretta e i carichi di lavoro eccessivi sono propedeutici al plagio, in tutte le sue sfumature. Ispirazione. Citazione. Copiatura.

1 commento

  1. […] dell’opera di Roberto Saviano che apparirebbe copiata da altre fonti, non citate. Report sulla presunta somiglianza di alcune parti di ZeroZeroZero con parti di wikipedia erano spuntati anche qualche mese fa, ma oggi il giornalista del Daily Beast offre alle stampe un […]

Comments are closed.