I viaggi fisici e onirici di Adriana Soares

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mistero 2La fotografia di Adriana Soares, ex modella di origine brasiliana, ma ormai italiana – vive qui dall’età di 14 anni – è il risultato dell’evoluzione della sua persona, che è riuscita a vivere pienamente la storia della propria vita e a metterla a disposizione di un innato senso creativo. Riuscendo a compiere l’ultimo e più importante step con la “creazione” della sua più recente forma espressiva, che lei chiama “Soul PhotoDigiPainting Art”

La Soares viene da una famiglia di artisti, pur avendo seguito inizialmente le orme della zia, che è stata una delle top model degli anni d’oro. Ha iniziato quindi giovanissima a viaggiare molto, e proprio nel corso di questi viaggi la sua sensibilità la portava a vivere il contrasto tra la propria situazione “privilegiata” e gli scenari spesso estremamente dolorosi che si aprivano a poca distanza dagli alberghi lussuosi che frequentava (ricorda a tal proposito come “rivelatore” e decisivo un viaggio in India) come una chiave per mettere in discussione ogni aspetto della sua vita, e per ricercare valori più profondi. Esistenziali, più che sociali.
Il tema del viaggio, infatti, è centrale nelle sue opere. Un viaggio sia fisico che onirico, in cui spesso questi due aspetti si confondono – o per meglio dire, si rendono complementari – e che è sempre presente attorno a sé come all’interno di sé. Caratteristica ben evidente nei lavori di Photodigipainting, in cui agli autoscatti del viso dell’artista si sovrappongono gli scatti che la stessa ha effettuato nel corso dei suoi spostamenti intorno al mondo, oltre alle simbologie – evocate dall’argomento trattato, in uno stato di sogno cosciente – che vengono dipinte con olio o acrilico sulle foto, o addirittura formate sulle stesse con materiali di diversa natura, come per esempio la pasta di vetro.

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Ricorrente nel lavoro della Soares è anche il tema dell’infanzia. Non è difficile immaginare che l’ingresso in un mondo adulto a quattordici anni possa in un certo senso “sospendere” una fase infantile non ancora pienamente compiuta; in questo caso, però, seppur Adriana sia nel frattempo diventata realmente grande, lo Stupore che è riuscita a mantenere – aspetto fondamentale per chiunque compia un’opera creativa – ha permesso che quella fase non andasse irrimediabilmente perduta. E ha incanalato i ricordi e le immagini della bambina non già in una rappresentazione nostalgica del suo tempo andato, ma in un elemento chiave per evocare – tramite la rappresentazione dei simboli, degli elementi, dei luoghi – quegli archetipi infantili che, riportati in un nuovo contesto e riletti con occhi adulti, permettono di mantenere una visione più pura del mondo. Dove per “purezza” si intende nient’altro che una visione più oggettiva, e quindi profonda.
La mongolfiera di “Metro…” è, a ben guardarla, un palloncino di quelli che sfuggono di mano ai bambini, con tutte le implicazioni che questo espediente comporta.

L’infanzia è però trattata dall’artista anche dal punto di vista di una madre. Lei, che è diventata mamma molto giovane e in un momento in cui per una persona che facesse il suo lavoro uno stato di gravidanza (come anche un parto) poteva rappresentare un serio ostacolo, ha vissuto invece con estrema gioia la sua situazione. Riuscendo a evitare soprattutto quello che le avrebbe potuto creare i più grossi problemi: cadere vittima di un conflitto col proprio corpo che cambiava forma.

Per questo Adriana Soares ha celebrato in una serie di fotografie la Maternità, cercando di porre in evidenza – con scatti che giocano essenzialmente sulle luci, utilizzate in modo che possano di volta in volta esaltare o nascondere dettagli dei corpi nudi delle future mamme – la bellezza del corpo della madre. Bello perché al contempo cela e accoglie la vita. Di una bellezza che va oltre l’ estetica superficiale: profondamente bello.