Compiendo un’estrema sintetizzazione, potremmo ritrovare alcuni filoni formali ed espressivi che ci permettono di raggruppare assieme opere e artisti di The Art of Food Valley. Uno di questi è il repêchage iconografico che consente di recuperare icone della storia dell’arte del passato e di riattualizzarle in chiave ironica o disincantata come nel caso della Madonna dal Collo lungo del Parmigianino che per Mr. Savethewall abbraccia un prosciutto crudo di Parma o in forma celebrativa e metaforica con la Nascita di Venere del Botticelli che per Stefano Fioresi fluttua sulla sagoma di un tortellino, in omaggio alla leggenda.

Un altro filone è quello delle allegorie pittoriche che ripropone un dualismo tra realtà ed allegoria attraverso l’adozione di un linguaggio metaforico. Vanni Cuoghi trasfigura gli ingredienti nei personaggi di un Seicento magico e surreale, le cui unioni o matrimoni danno origine ai piatti ideati dallo Chef Francesco Sposito. Savina Lombardo metamorfizza l’aceto balsamico tradizionale in figure femminili allegoriche a metà tra l’umano e il vegetale. Silvano Scolari paragona un albero in frutto alla chioma cappelluta di una donna e, al contempo, trasforma la donna in un albero della vita. Carlo Cane inserisce le ciliegie di Vignola in un trionfo che rimanda alle pitture del Rinascimento ferrarese.
Dall’allegoria alla caricatura il passo è breve: con il realismo crudo di Enrico Robusti l’esibizione di prosciutti, culatelli e salami è sintomatica di un eccessivo stile di vita godereccio della società borghese parmigiana qui rappresentata; con la pittura sensuale di Desiderio il cibo viene presentato come oggetto di desiderio e, al tempo stesso di rifiuto, in composizioni dal sapore grottesco che esibiscono una forte carnalità.
Per un certo gruppo di artisti raggruppati da Edoardo Di Mauro nella corrente del “concettualismo ironico”, le opere si presentano caratterizzate da una dose di maggiore eclettismo e originalità. Da un lato assistiamo al frequente recupero di forme provenienti dall’immaginario ludico dell’infanzia, con l’utilizzo di tipologie formali che prevedono l’impiego frequente di materiali sintetici e plastici e la configurazione di assemblaggi vivi e squillanti, come nel caso delle scatolette di latta di Corrado Bonomi; dall’altro abbiamo un’artista come Antonella Mazzoni che riflette sulla genesi, continuità e discontinuità del linguaggio pittorico attraverso la trasposizione tridimensionale di una natura morta di Cezanne. Della stessa sensibilità ironica e concettuale, benché non ricordati nelle file dello stesso movimento, sono le opere di Alberto De Braud, che presentano in forma monumentale ed eroica i prodotti alimentari e li trasfigura in idea metaforica, come nel caso dei tre prosciutti crudi che diventano “Le tre grazie”. La vena concettuale-ironica diventa operazione metalinguistica in Claudio Destito, che riflette e circroscrive la parola mortadella (“Della Morte”) e la ricollega alla sua forma visiva. Ancora linguistica ma al tempo stesso caustica nei confronti dei grossi marchi globalizzati che sfruttano la catena alimentare è l’opera “La PORC-cellana” di Francesco De Molfetta che plasma in scultura la testa di un maiale e ne effigia sulla superficie i prodotti derivati. Qui sono i meccanismi del messaggio pubblicitario a diventare oggetto dell’opera, sia in senso demistificante e critico come nelle opere sul packaging “Dove c’è Barilla c’è casa” di Andrea Francolino sui miti della propaganda, che con nitida e trasparente forza comunicativa come nel progetto “Avia Pervia” di Laura Simone sull’aceto balsamico tradizionale.

Se il messaggio pubblicitario, con le sue contraddizioni e incongruenze comunica valori diversi, alternativi, l’arte restituisce alla cultura del cibo nuovi simboli e nuove icone che vanno ad arricchire la complessità di questo racconto. Paolo Ceribelli, in omaggio alla serie delle Nature di Enzo Mari, crea l’immagine stilizzata di una pera utilizzando esclusivamente teorie di soldatini in sequenza. Simone Racheli associa l’immagine di un osso scarnificato all’idea di un paesaggio surreale dalle forti implicazioni semantiche. Ester Grossi rielabora l’etichetta del Gutturnium come l’immagine grafica di un antico romano con coppa e pipa tra le mani.
Tra forme poetiche o celebrative si dispiega l’opera scultorea di Michelangelo Galliani di un giovinetto che stringe tra le dita alcune spighe di grano. O ancora l’ariosa e vibrante fusione in vetroresina e fibra di vetro di Annalù che restituisce in immagine floreale la trasparenza dell’olio. Senza dimenticare il libro di carta di Matilde Domestico sulle cui pagine è disegnata la pianta del mirtillo utilizzando piccoli punti in acciaio, abbinata a una poesia di Emily Dickinson che riflette sulla spontaneità misteriosa della natura.
Infine il cibo riassume in sè i caratteri di un rituale sociale e relazionale che va oltre le semplici necessità fisiologiche e presuppone pratiche connotate dalla valenza simbolica, emozionale e collettiva. Come nel caso dell’opera “Il Corpo” di Giovanni Gaggia che va a imbandire una mensa dai forti rimandi sacri e religiosi, oppure nella performance “Sweet Heart” di Loredana Galante che consegna allo spettatore dei vasetti di marmellata personalizzati con gli ingredienti “astratti” che servono per compensare bisogni o stitolare virtù nascoste.
Il cibo veicola dunque una molteplicità di valori simbolico-letterari come gli artisti hanno di volta in volta messo in evidenza. Dai prodotti più comuni e diffusi in aree geografiche anche lontane, le cui simbologie sono note e tramandate dalla tradizione – il pane, il pesce, le uova e le mele – ai prodotti di derivazione più recenti e legati allo specifico distretto territoriale di appartenenza della Food Valley – il prosciutto crudo e i salumi, il parmigiano-reggiano, l’aceto balsamico, il tortellino – tante sono le costruzioni simboliche, i miti e i riti che si condensano attorno al cibo e altrettante le codificazioni che gli artisti ne restituiscono.
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>The Art of Food Valley
a cura di Chiara Canali
dal 19 aprile al 31 ottobre 2015
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