Dandolo: il cinema a Berlino è una risorsa, in Italia un’eredità dei nonni

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Alberto-Antonio-Dandolo-regista-del-documentario-Strade-di-casaAlberto Dandolo fa parte di quei professionisti che vivono per il loro lavoro e quando ti parlano, lo fanno con una straordinaria energia, quella che contiene anche un pizzico di arroganza e allo stesso tempo con gli occhi che brillano come un bambino che scarta i regali di Natale. Originario di Roma, si è trasferito a Berlino nel 2010. Ci è venuto per seguire delle Master class durante la Berlinale e l’internazionalità della città, soprattutto riguardo alla cinematografia, gli ha fatto comprendere il vero significato della parola “sperimentazione”.

Alberto ha poi deciso di rimanere a Berlino che è diventata la sua casa. Perché? Perché qui la cultura è industria, ci sono produzione, circolazione e vendita. Perché è possibile confrontarsi con professionisti internazionali con semplicità e umiltà e mettere in atto una serie di connessioni per sviluppare i propri progetti. E’ così quindi che Alberto ha sviluppato la casa di produzione cinematografica Mimesi’s Culture. La ricerca di Mimesi è indirizzata sul documentario sociale, parte da un’indagine socio politica che poi viene sviluppata in ambito creativo e cinematografico collaborando spesso con varie fondazioni non governative. Come ci spiega Alberto “Io sono interessato prevalentemente alle storie delle singole persone più che alle situazioni geopolitiche quindi sposto l’angolo di osservazione dal problema macro al micro. Seguo il concetto della lente d’ingrandimento in cui partendo dallo strato sociale cerco di capire come gli eventi politici influenzino le scelte e le vite del singolo”. 

Ma ad Alberto interessa la sperimentazione anche coinvolgendo diverse discipline. Così è stato coinvolto per ben quattro anni nella co-produzione di Aeterna, un progetto filmico di Leonardo Carrano descritto da Ennio Morricone in persona come “un’opera straordinaria, unica, eccezionale”. Un progetto che intreccia sperimentazione cinematografica e visiva in cui l’ artista ha inciso ed è intervenuto con tecniche diverse direttamente sulle pellicole 35 mm realizzando dei film unici, un’opera cinematografica non riproducibile nell’era della riproducibilità tecnica. Il film è stato presentato in tutto il mondo ma è proprio a Berlino che ottenuto un supporto maggiore a livello di istituzioni che ne hanno accompagnato la realizzazione. Perché a Berlino e non in Italia? Che cosa manca in Italia per permettere alle nuove generazioni di poter sviluppare i propri progetti in ambito cinematografico?

Se comparassimo l’ Italia con la regione di Brandeburgo – Risponde Alberto – bisognerebbe rilevare un abisso totale per quanto riguarda i finanziamenti al cinema. A Berlino innanzitutto c’è il Mediemboard Berlin-Brandenburg, un fondo regionale che stanzia circa 7 milioni di euro a trimestre supportando la produzione e distribuzione di opere legate al territorio; poi ci sono le FFR – Film, le televisioni che hanno una forza economica importante, e tutta una serie di fondazioni private come per esempio la Robert Bosch Stiftung che con premi legati alla cinematografia sostengono il cinema indipendente. Questo non vuol dire che i finanziamenti arrivino in maniera semplice, bisogna iscriversi, presentare i progetti, predisporre un piano economico, però c’è uno spettro di possibilità e le co-produzioni internazionali sono facilitate da un sistema fiscale che non ostacola i liberi professionisti. A mio avviso basterebbero dei piccoli interventi pratici per promuovere la produzione italiana, come l’introduzione di una piccola mora del 7% sui biglietti venduti sulle produzioni internazionali a favore della produzione di film italiani o un sistema di call per i programma televisivi”.

Inutile dire che in Italia quello che mancano sono i finanziamenti sia da parte statale sia di privati. La domanda quindi è: perché non ci sono finanziamenti e finanziatori per la cinematografia e la cultura in generale?Perché l’arte e la cultura italiane non sono considerate come un’industria ma piuttosto come un vecchio rudere in campagna ereditato dai nostri nonni” spiega Alberto. “Un regalo che non ci interessa o non sappiamo utilizzare. I nostri genitori non l’hanno spiegato, forse non lo sapevano nemmeno loro, e ora non ci appartiene più, non sappiamo come capirla e non abbiamo gli strumenti per valorizzarla al meglio. A volte l’idea di trarne profitto ci fa quasi sentire un po’ in colpa.

Possiamo scegliere di conservarla religiosamente come una reliquia, oppure liberarla dalla polvere, scoprire quella che è la nostra storia e innamorarcene, studiarne ogni angolo per darle un futuro. Abbattere, rinnovare, ricostruire e costruire. Perché per affacciarsi al nuovo, alla contemporaneità bisogna portare avanti un discorso che dura da secoli, soprattutto nel nostro paese. Magari così facendo capiremmo che ciò che abbiamo ereditato non è solo un fardello ma una ricchezza. Sta a noi decidere se lasciarla in rovina e passarci solo le vacanze o investirci, ristrutturarla e darle nuova vita”.