In questi giorni ha fatto scalpore la notizia che la Guardia di Finanza avrebbe sequestrato 6 milioni di euro a Marcello Fiori, ex commissario straordinario di Pompei. Il provvedimento segue un’inchiesta giudiziaria sull’utilizzo di fondi destinati al sito archeologico. Tutti i giornali, pronti a oliare la macchina del fango, hanno pubblicato la notizia con enfasi, senza dare spiegazioni, ingenerando l’idea che Fiori potesse aver nascosto da qualche parte l’ingente somma frutto di chissà quale malversazione, e gli inquirenti avessero finalmente fatto giustizia. La cosa non è così. Fiori non ha così tanto denaro, anzi vive del proprio lavoro e possiede, come timidamente ha cercato di spiegare, poche cose. Trattasi, invece, di richiesta di sequestro cautelativo fino alla cifra a cui la procura della Corte dei Conti della Campania – cioè l’accusa – crede possa ammontare l’ipotetico danno erariale relativo ai lavori di restauro del Teatro Grande di Pompei. Ma per ora, nessun giudice ha emesso sentenza di nessun grado.
Sgombrato il campo dal fraintendimento giudiziario, vale la pena guardare la sostanza. Il progetto di restauro del Teatro Grande era stato redatto dal soprintendente dell’epoca e approvato dalla direzione generale per l’Archeologia, dal segretario generale e dal capo gabinetto del Mibact. Insomma, a Fiori spettava, secondo i compiti del suo ufficio (salvaguardia, promozione e valorizzazione), di portare a termine velocemente i lavori che erano fermi da lustri. Cosa che fu fatta. Nonostante l’ottimismo di Franceschini che ieri ha incamerato un report favorevole dell’Unesco, vari ritardi restano. Sono stati stanziati 105 milioni dall’Unione europea da spendere entro fine 2015. Per ora, sembra sia stato impegnato in lavori appaltati solo il 6% delle risorse programmate. Staremo a vedere.