Il Tiggì era uno, poi trino. Ora si sdoppia.

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Il Tiggì Rai, era uno, divenne trino. Ed ora si fa duale, un po’ come nelle preghiere dei vecchi credenti che si segnavano con due dita, indicando il terzo come quello del Diavolo.

In politica, in economia e anche nei media la Tv pubblica non ha più il peso di un tempo. L’azienda Rai è dietro alle due concorrenti nazionale e a quella multinazionale. Su entrambe poi si alza il media alternativo, Internet a dividersi la torta pubblicitaria. Le risse politiche dei talk show stanno diventando una nicchia di tifoseria specifica.

Per i partiti la questione Rai resta cruciale. Anche il salotto buono della grande industria, finanza e cultura trova nella Tv di Stato il principale punto di snodo di immagini e programmi che, solo dopo il lancio televisivo nelle case e tra le famiglie, possono essere efficacemente diffusi sul territorio e su altri media. In breve, per l’economia e la tecnologia, l’informazione statale di massa, dedicata ai più che non leggono, né si informano, tende a essere residuale. Per la politica invece ogni riorganizzazione dell’informazione Rai è un fatto epocale.

La prima Tv di Stato, governativa e maggioritaria, popolare cattolica, faceva la sua parte nello scontro della guerra fredda. La prima riorganizzazione del 1975 fu considerata una vittoria delle sinistre, socialista e comunista, che ottennero una rete con annesso Tiggì, cadauna. In realtà la trinità Rai fu una concessione al decennio precedente di contestazioni all’autorità e di rivendicazione dei diritti più diversi. Chi criticò fin da subito la lottizzazione, avrebbe desiderato la chiusura del Tiggì Uno, democristiano e del Due, socialista (all’italiana). 

Era il partito Rai3, appaltato ai comunisti, che brandì la rete come una clava. Da Gugliemi a Zaccaria, da Curzi alla Berlinguer, da Santoro a Gabbanelli, Telekabul adottò massivamente il gossip da rotocalco calunnioso per screditare ogni avversario politicosociale. Divenne nemico e alternativa all’informazione Tv privata che inutilmente aveva cercato di uccidere in culla. Dopo Mani Pulite, si ritrovò ad essere l’unico blocco telegiornalistico sopravvissuto dei tre.

La lottizzazione di un tempo perse senso. Il Tg1 divenne neutralmente filogovernativo, di più negli anni della sinistra al potere, di meno in quelli della destra. Il Tg2 venne colonizzato dal Tiggì3. Le divisioni lottizzatrici di un tempo si spostarono sul piano dell’organizzazione e delle nomine, non sui contenuti e sul modo di presentarli. Nei fatti più di metà dell’elettorato non venne più rappresentata dall’informazione Rai.

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Ora, dopo 35 anni, arriva la  seconda riorganizzazione, proposta dal Direttore Generale Luigi Gubitosi, approvata dal Cda Rai e dalla commissione parlamentare di Vigilanza. La Tv di Stato divide i Tiggì in Rai Informazione 1 (Tg1, Tg2, Rai Parlamento) e Rai Informazione 2, (Tg3, Rai News 24 e TGR). Il primo tassello  della riforma renziana prevede un’informazione tutta governativa e una Telekabul, sopravvissuta a se stessa, recinto buono per le tante e sparpagliate minoranze Pd. 

L’idea è che l’informazione di Stato non deve rappresentare per forza le opinioni della società. A Forza Italia ci pensa Mediaset. I grillini hanno il web. La Lega avrà sempre un posto come mostro di turno.

La riforma dell’informazione Rai 2015 è un atto di realismo. Da tempo la lottizzazione trina era un falso storico. Si torna all’antico. Il Tiggì è espressione del governo, magari diviso nel canale di De Gasperi e in quello di Dossetti, Finché dura, prima che il diluvio dell’Internet Tv non tolga anche questa autonomia nazionale.