Libia bel suol d’amor. Ecco i danni di un secolo di guerre, incomprensioni, opportunismi

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Nel 1911 l’Italia commossa e cantante nonché piagnona di Pascoli e De Amicis, mosse guerra alla Libia. O meglio all’Impero Ottomano. Il vero nemico però della grande proletaria sabaudogiolittiana era la Francia, rea di essersi annessa la “piccola Sicilia” tunisina e i suoi centomila piednoir immigrati italiani. Non sapeva degli eventi a catena che si sarebbero prodotti: nell’immediato, la cacciata dei turchi dall’Europa e la destabilizzazione balcanica; nel lungo periodo la permanente destabilizzazione mediorientale e nordafricana. La grancassa attorno a Tripoli bel suol d’amor, cantata dalla ugola di Gea della Garisenda sui versi del freakettone dell’epoca Corvetto, recitava “Sai dove s’annida più florido il suol? più magico il sol?”, ma non credeva al tesor dello scatolone di sabbia.

Un secolo dopo, nel 2011, rieccoci. L’Italia stravolta e divisa di Busi e Rodotà, il paese del vaffaday,  capitanata da un ex dei comitati della pace di Stalin torna alla guerra in Cirenaica. Stavolta l’assalto non è strabico, ma da esorcista, a occhiaie rovesciate verso i propri incubi interni. La vera guerra è contro i berlusconiani che affidano ai dittatori il crimine di bloccare uno dei migliori frutti della globalizzazione, l’immigrazione a go-go.

Nel 1911, l’Italia giolittiana cambiava il valzer ora con francoinglesi, ora con austrotedeschi e finiva per suonare nell’orchestra bismarkiana. Nel 2011, l’orchestra merkeliana ha pignorato il violino italiano. Francesi, inglesi, americani  passano su Roma con le scarpe chiodate. Malgrado il calore di Napolitano, non ci possono essere canzoni per una guerra suicida e senza gioia. Un vero  Tramonto dell’Odissea, che lascia la quarta sponda sotto bombe, rivoluzioni e anarchia selvaggia. Nella disastrosa tradizione storica della politica Usa sulle ex colonie italiane, già sperimentata in Somalia, riverbera il primigenio razzismo antitaliano del presidente Wilson.

Il nuovo verbo ce l’ha con i dittatori laici. Giù Kabul e Saddam, su Al Qaeda. Giù, Assad e Mubarak, su l’Isis. Molti dall’Italia chiedono all’Occidente di abbattere anche il dittatore Berlusconi, malgrado sia stato liberamente  eletto. L’America comincia dalla sua caricatura libica, Gheddafi, dal volto sofferente che ricorda il comico siciliano Franco Franchi.

10 giugno 2009: il leader libico Muammar Gheddafi, all'aeroporto di Ciampino
10 giugno 2009: il leader libico Muammar Gheddafi, all’aeroporto di Ciampino

Il rais è una variante drogata dell’incomprensibile politica italiana. Sotto la sua tenda, i quaderni piacentini, le autonomie operaie e altri servizi per il popolo diventano il socialismo beduino, il libretto verde, il movimento non allineati (Brics ante litteram), il nuovo impero arabo dell’unione sirio-egizio-libica, la monarchia panafricana. quando il Franchi d’oltremare, rivendica l’antica jihad,  sembra un po’ alla Balbo, un po’ la spada dell’Islam del Duce, un po’ il gran Sanusso, proprio quell’emiro wannabita (come i sauditi), sunnita ed estremista che aveva esautorato.

Oggi, 2015, la quarta sponda non è più in mano alle minacce buffe del Gheddafi. Non c’è più bisogno del masochismo storico alla Del Boca. La guerra degli esorcicci del 2011 ha riportato in vita i pirati di Pompeo. Dal Sahara di Cufra e di Giarabub, tornano gli sceriffi emiri, gli eredi della guerra santa proclamata dalla Sanussia, l’Isis di un secolo fa. Nel deserto c’è il grande mercato all’ingrosso di carne umana, la preparazione in container raffazzonati degli esseri umani, da far emigrare alla deriva verso l’Europa.

L’Italia dovrebbe fare la guerra, ma sarà tanto se sposterà, per evitare danni peggiori, il mausoleo militare dei propri caduti in terra d’Africa, come hanno fatto i turchi con i loro in Siria. I caduti che chiedevano piombo invece che pane, vedono la fine della propria terra, una seconda volta.

Dopo aver trattato l’Africa da pattumiera, l’Occidente fa la raccolta differenziata. E la destina tutta nella discarica di MalaItalia. Il mar che ci lega con l’Africa d’or è una catena.  Se non è guerra all’Italia, questa…

1 commento

  1. I danni storici che furono fatti in Libia non possono dimenticare non solo le epurazioni italiane attuate dai nostri “coraggiosi” militi, ma sopratutto l’azione della Gran Bretagna, la vera artefice della distruzione e ridisegno dello sfaldato Impero Ottomano.

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