In ricordo di Luca Ronconi: quando il Premio Riccione era un luogo di delizie teatrali e grandi uomini

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il regista Luca Ronconi

Ronconi: chi è costui? Anno di grazia 1987, il fatidico Premio Riccione per la drammaturgia, nato onorando un giovanissimo Italo Calvino, compie quarant’anni. Franco Quadri, eminente presidente di giuria, festeggia regalandosi Luca Ronconi. Il geniale regista (che in quegli anni sviscera il Bernanos dei Dialoghi delle carmelitane) si installerà nella giuria del prestigioso Premio dal 1989 al 2007: sono anni mitici e indimenticati, che culminano con la scoperta di Antonio Tarantino e Fausto Paravidino, di Letizia Russo, Raffaello Baldini e Ascanio Celestini, di Davide Enia e Mimmo Borrelli. “Indubbiamente sono gli anni più importanti del premio, che richiedeva un lavoro serissimo: Ronconi leggeva almeno 60-70 testi, con una qualità di attenzione indiscussa”, ricorda Maroly Lettoli, all’epoca segretaria di giuria e braccio armato di Quadri.

Riccione 1988: Franco Quadri e Luca Ronconi
Riccione 1988: Franco Quadri e Luca Ronconi

A Ronconi, “tutt’altro che un intellettuale con la puzza sotto il naso, riservato, dotato di una sontuosa timidezza”, piaceva il ruolo di giurato al Premio Riccione: nel 1991 sponsorizza la segnalazione del testo di Antonio Sixty, L’aquila bambina, che metterà in scena l’anno dopo, all’Elfo di Milano, con la presenza di Massimo Popolizio. A chi gli chiedeva le ragioni di una scelta così particolare, Ronconi rispose seccamente, “rappresentarlo è una sfida, ma tutto quello che faccio lo è”. Ronconi sbarcava a Riccione, “stava in città per una settimana”, durante la quale succedeva di tutto: “discussioni estenuanti, per tutta la giornata e a volte fino a notte”, con giurati che si chiamavano Giovanni Raboni e Cesare Garboli, Vincenzo Consolo, Enzo Moscato, Maria Grazia Gregori.

Nel numero di Panta dedicato a Franco Quadri e pubblicato lo scorso anno, Ronconi, intercettato da Oliviero Ponte di Pino, ricorda micidiali litigate con Garboli per la vittoria di un testo o di un altro. A pensarci sembra fantascienza: nella Riviera delle discoteche a cielo aperto e dei deretani al sole, convergeva la panna intellettuale italica. E la cosa doppiamente stramba è che a Riccione nessuno sapeva né sa niente. Se fermi un riccionese doc, costui ti risponde in due modi: “Ronconi chi? Quello dei polli?”. No, quello è Amadori. Oppure, “Ronconi, sì, il regista che ha lavorato a Milano e a Roma: che c’entra con Riccione?”. Vent’anni di presenza, come nulla.

Qualcosa si farà, chissà, il fato delibererà. Luca Doninelli, collega di Ronconi nei vertiginosi seggi del Premio Riccione, ha scritto che il regista “è stato uno dei più grandi intellettuali europei dal Dopoguerra a oggi”. Un manciata di settimane fa Rai 5 ha mostrato il suo funambolico Orlando furioso, che oggi si studia in Università. L’ultimo lavoro di Ronconi, Lehman Trilogy, che ha esordito al Piccolo lo scorso 29 gennaio, tratto dal testo di Stefano Massini, sigilla i rapporti tra Ronconi e il fatale Premio Riccione. E ne descrive, perfino, la parabola del declino. Massini, infatti, è stato scoperto da Ronconi nei gangli del Premio: nel 2005 fu segnalato per L’odore assordante del bianco. “Era davvero uno sconosciuto. Franco Quadri gli propose la pubblicazione dei testi per la sua casa editrice, la Ubu. Ronconi lo seguì fino alla messa in scena dell’ultimo immane lavoro” (Lettoli). Tra gli attori di Lehman Trilogy c’è pure Fabrizio Gifuni, figlio di Gaetano (già Ministro e Segretario Generale della Presidenza della Repubblica), alfiere del Teatro Valle occupato. Gifuni fa parte dell’attuale giuria vip del Premio Riccione, costituita, dopo il drammatico strappo del 2007 (che portò alla fine dell’ “era Quadri” con conseguenti dimissioni di Luca Ronconi), da figure glamour (Alessandro Gassmann, Isabella Ragonese e la moglie di Gifuni, Sonia Bergmanasco).

Alla sostanza han sostituito i lustrini. Sulla necessità che il Premio Riccione ricordi, scavando negli archivi, Ronconi, l’attuale direttore, Simone Bruscia, è assai elusivo: “Non so, vedremo, il Consiglio d’amministrazione deve cambiare in queste settimane, delibererà come vorrà”. Che triste Paese quello in cui le ragioni burocratiche vincono su quelli culturali, le visioni ciniche su quelle affettive.