La Locandiera, se Goldoni diventa un bildungsroman

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Ogni volta che ci si trova di fronte a un classico, lo spettatore può sentirsi diviso tra la voglia di rassicurazione nel vedere ciò che si aspetta e il desiderio di essere sorpreso anche da un testo ampiamente noto. Corrado d’Elia è uno di quegli artisti che può soddisfare queste due aspirazioni insieme, e il suo allestimento de La locandiera ne è la prova. Nel suo percorso, l’artista milanese ha scelto spesso di rapportarsi con i grandi – da Brecht a Shakespeare fino al contemporaneo Baricco – cercando di farli rivivere senza tradirne lo spirito.

foto di scena

In questa messa in scena della commedia di Goldoni, il testo è assolutamente rispettato, prende, però, forma in una locanda molto rivisitata. Le tre pareti della scatola magica si vestono di rosa shocking, colore utilizzato anche per i costumi (a partire dal frac del Marchese di Forlipopoli). Un materiale, però, li lega tutti: la plastica, volta a dichiarare sin da subito che si tratta di finzione nel doppio significato: quello insito nella commedia e quello proprio dell’arte teatrale. In questa “commedia di carattere”, la locandiera (una Monica Faggiani briosa e assolutamente in parte) gode della sua capacità di seduzione, è lusingata dalla corte del marchese e del Conte di Albafiorita, dà per scontato che tutti coloro che passano per la sua locanda debbano cadere ai suoi piedi. Ma quando appare il Cavaliere di Ripafratta (lo stesso d’Elia di nero vestito), “salvatico”, misogino e immune dall’innamoramento, in lei scatta una sfida ancora più ardua: trasformarsi in una maga circe per colui che si vanta di non esser mai caduto nella rete femminile. Alcuni anni fa d’Elia aveva interpretato Don Giovanni e il suo incipit prendeva piede da quella che in Molière era la fine: la collocazione all’inferno. Nella sua Locandiera è come se la protagonista assumesse alcuni aspetti da don giovanni, lasciando da parte quello del “senza scrupoli” e facendo tesoro del proposito dell’uomo: «sì, è proprio vero: bisogna cambiar vita! Ancora venti o trent’anni così, ma poi bisognerà pensarci seriamente!».

Nel 1752 l’autore veneziano aveva dato vita, infatti, a un testo che, rispettando lo spirito della commedia, diventava anche un percorso di formazione, soprattutto per i protagonisti principali ed è così che accade anche in questa rappresentazione contemporanea.

Un’altra idea registica interessante è la scelta di far interpretare le due comiche, Ortensia e Dejanira, a due uomini, omaggiando così la storia del teatro e, allo stesso tempo, lasciando lo scettro della femminilità a Mirandolina. Non c’è stridore tra il sapore kitch di costumi e scena e le parole di Goldoni. Tutto l’affiatato cast cavalca, con i gesti e il gioco vocale, il ritmo delle battute e le luci di Alessandro Tinelli sottolineano ancor più il meccanismo da orologio perfetto.

In una scena quasi fumettistica, sulle note pop di Amoureux solitaires, la locandiera – ora Barbie, ora pantera rossa – si evolverà in… a voi scoprirlo!

La locandiera

LA LOCANDIERA di Carlo Goldoni

Regia e ideazione scenica di Corrado d’Elia, con Monica Faggiani, Corrado d’Elia, Alessandro Castellucci, Gustavo La Volpe, Andrea Tibaldi, Marco Brambilla, Tino Danesi, al Teatro Litta di Milano fino al 25 gennaio 2015