Roberto Carifi, uno schiaffo ai poeti laureati

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Il caso di Roberto Carifi è un j’accuse sgranato in faccia ai poeti con l’alloro. Classe 1948, è voce tra le più taglienti della generazione che segue i titani (Luzi-Caproni-Zanzotto, per intenderci), ma ha sempre avuto una fortuna laterale, diversa, obliqua rispetto ai lirici pluristellati Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, accomodati sul sofà della fama. Disordinato ed eccentrico, Carifi (al ginnasio lo bocciano per indisciplina, parte come musicista rock per poi lasciarsi sedurre da Lacan), autore di versi dolci e dolenti, una granata di rovi in faccia, traduttore di genio (di autori complici, Rainer Maria Rilke e Georg Trakl, su tutti, poi Bataille, Hermann Hesse, Rousseau), per anni tiene su Poesia la rubrica aperta ai nuovi poeti, si eleva a maestro. Pur con un parterre bibliografico importante, un po’ tutti se ne fregano di Carifi (quanto è cinico l’emisfero dei poeti), lo trattano con indecente pietà. Da dieci anni Carifi è corroso dall’ictus.

Carifi Roberto, Ritratti dell'abbandono, Raffaelli editore, 2014, pp.44
Roberto Carifi , Ritratti dell’abbandono, Raffaelli editore, pp.44, euro 12,00

Scrive al computer usando una bacchetta, con la mano sinistra, con incessante lentezza. Parla poco, con fatica. Figura evidente del poeta stremato dal dolore, dice lui. Un gracile Leopardi. Con l’editore Raffaelli in Rimini (www.raffaellieditore.com) è nato un sodalizio importante: nel 2010 pubblica i racconti, di tenebroso erotismo, Nome di donna; nel 2012 il primo libro di poesie di Carifi, Infanzia, del 1984. Quest’anno si raddoppia. Raffaelli stampa Amore d’autunno, tra le raccolte più intense di Carifi, edito nel 1998 da Guanda, con quella porzione di Poesie per la madre vertiginose, che si apparenta a Madre, il libello edito sempre quest’anno da Le Lettere. Il vero dono, però, è il breve mucchio di inediti, stampati come Ritratti dell’abbandono (pp.38, euro 12,00), versi nudi ed espatriati, liturgici: «Si chiama anima/ colui che sta nell’abbandono,/ getta il suo cuore a chi sorveglia/ espulso dalla notte e dal giorno/ la santità gli sta accanto». In queste poesie dove c’è Auschwitz e il Tibet, i morti e la malinconia («poesie allegre, vero?», bofonchia il poeta, in una recente presentazione, ripreso da un video, con la sapienza di chi sa sfottersi), parola dedita e delicata, risorge, come un rigurgito di luce, Carifi, il poeta che «torna dalla notte».