Una tradizione di famiglia che si tramanda da padre in figlio da ben quattro generazioni. Marco Ferrigno ha raccolto così l’arte che fu del suo bisnonno. Modellare l’argilla con gran maestria, fino a farle assumere le stupefacenti sembianze di pastori da presepe, è una passione innata: «Già da bambino trascorrevo il mio tempo a fare i primi esperimenti in laboratorio». Un gioco divenuto mestiere, innovando senza mai stravolgere o accantonare i materiali impiegati ché «Sono gli stessi da centocinquanta anni: la terracotta, il legno, le rinomate sete di San Leucio, le rifiniture in oro zecchino e i bottoni d’argento». Le scene da presepe realizzate da Ferrigno, già presenti e apprezzate nel circuito internazionale che va da New York a Stoccarda, hanno la pregevolezza dell’immagine e il tocco proprio dell’oggetto unico: «Riproduciamo l’origine del presepe che nasce a Napoli grazie al Re di Spagna, Carlo III di Borbone, durante il Regno delle Due Sicilie. I cortigiani – fra i quali Giuseppe Sanmartino, scultore del Cristo Velato – per compiacere il sovrano, iniziarono a costruire scenari fedeli allo spirito del tempo. L’ambiente ricco e opulento, infatti, rappresenta al meglio la condizione economica di quell’irripetibile momento storico».
Attenti ai dettagli del passato, ma anche ai protagonisti del presente. È stata di Ferrigno, infatti, l’idea di accostare alla memoria millenaria qualche abbaglio di cronaca recente: «Mio padre, nell’èra di Mani pulite, nei primissimi anni Novanta, posò nel presepe la statuina di Antonio Di Pietro. Nacque così il rito del personaggio da inserire che non è più di cadenza annuale ma quasi settimanale. È un modo semplice e divertente per attirare l’attenzione mediatica e l’interesse dei visitatori». Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Matteo Renzi con le ottanta euro in mano e il capocannoniere del Napoli Gonzalo Higuaín: «Resistono ancora Mario Balotelli, Papa Bergoglio, e Silvio Berlusconi con Dudù». Tutto in perfetto equilibrio fra sacro e profano? «Assolutamente, sì. Nel presepe napoletano si trovano anche il pazzariello, il gobbo portafortuna e tante altre figure di valore antropopaico che – accostati agli angeli, alla natività e ai pastori – contribuiscono al suo completamento». L’arte di San Gregorio Armeno, però, sembra un po’ sottostimata in Italia. «Lo è. Vedo mestieri e situazioni che per molto meno diventano Patrimonio dell’Unesco. San Gregorio Armeno è ormai un brand a livello mondiale; gli enti preposti dovrebbero tutelarci un po’, magari attribuendoci un DOP (denominazione di origine prodotta ndr) che induca le persone a visitarci e a tralasciare le cineserie che mettono a rischio costante la sopravvivenza del Made in Naples». Marco Ferrigno, in queste ore, è alle prese con le ultime rifiniture di un presepe che a giorni verrà installato in un salone dell’Accademia Albertina di Torino: «Dopo le festività sarà messo in vendita; il ricavato andrà totalmente in beneficenza. Il mio sogno è quello di inserire tante brave persone nel presepe che, predisposte al bene e all’armonia, possano migliorare, dare uno scossone di ripresa, e dare all’Italia il benessere del Regno delle Due Sicilie».