Tutti si lamentano per il finanziamento pubblico ai giornali. Giusto. Per quanto mi riguarda la vera liberazione non si festeggia l’8 settembre, la festeggerò quando i giornali saranno liberi dai soldi di Stato. Cioè quando abiteremo non in un Paese delle meraviglie etiche, ma in un Paese civile. Ora come ora tutti blaterano di abolire i finanziamenti pubblici ai giornali perché vogliono uccidere il libero pensiero, tanto per informarsi bastano i cinguettii di Renzi o Wikipedia, chissenefrega. In pochi però sanno che ogni Comune d’Italia ha il suo bel parco di giornalisti prezzolati, i cosiddetti Uffici stampa.
A volte pagati meglio di un umile giornalista. La vera e propria “redazione” dell’Ufficio stampa di Roma, per dire, conta sette giornalisti, altri cinque lavorano al notiziario, altri tre alla newsletter. In più ci sono due segretari di redazione, quattro fotografi, due addetti alla rassegna stampa. Ovviamente c’è anche un capo Ufficio stampa, un vice e un portavoce del Sindaco. Totale: 26 persone. A cui, se aggiungiamo le tre ulteriori segretarie, fanno 29 stipendiati. Nel 2012 questa massa di addetti stampa ciucciava un milione e mezzo di euro l’anno. Una cifra utile a finanziare un quotidiano.
Ma che utilità quotidianamente hanno questi giornalisti prezzolati dai Comuni? Finalità elettorali. O promozionali. Comunque, sono marchette che il Comune fa a se medesimo. Spendendo i nostri soldi. Un paio di esempi dalla Riviera romagnola, alla periferia del Paese. Quando il Comune di Rimini deve parlare del concerto di Capodanno, ci raccontano che a far la festa “sarà il super gruppo formato da Max Gazzè, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi”, e naturalmente si tratta di “un concerto speciale” ancor prima che accada.
I Comuni, nel tentativo di disinnescare il libero giudizio dei liberi elettori, si auto elogiano e autorecensiscono. Altro esempio romagnolo (viste le implicazioni turistiche, ottima cartina di tornasole): Vittorio Sgarbi promuove il suo ultimo libro a Riccione. Naturalmente è una “serata-evento”, coronata da uno “strepitoso bagno di folla”: quella di Sgarbi è stata un’“appassionata lezione”, a cui il pubblico “ha riservato un’accoglienza strepitosa”. Ogni aggettivo, probabilmente, ha un prezzo particolare. Ora: a chi serve un giornalista del Comune che s’inchina di fronte alla grandezza del Comune che lo stipendia? Ai cittadini no. Perciò: a che serve spendere denaro per l’Ufficio stampa di un Comune? Va bene togliere il finanziamento pubblico ai giornali: a patto, però, che venga demolito il sistema elettorale degli Uffici stampa comunali. La strategia, d’altronde, è chiara: i Comuni – ergo: lo Stato – anelano alla morte della libera stampa. Vogliono essere loro stessi i soli propagatori di notizie. Vogliono contarvela loro, stamparsi il proprio giornale. Senza contradditorio né diritto di replica. Così da celare gli orrori dietro un sapiente velo retorico. Il totalitarismo nell’era democratica.
strano, nella mia città(e credo in tutte le città italiane), tutti i giornalisti lavorano per il comune(tantissimi in nero)infatti tutto va a rotoli, ma i “giornalisti” compreso il tg3 regionale dicono che viviamo in paradiso
i santi vivono in paradiso. il tg3 boh
Grillo,ha perfettamente ragione quando asserisce che i giornalisti sono tutti prezzolati dal sistema.
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